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mercoledì 31 luglio 2013

Il museo di Lipari ..... e la temuta "profana commistione" di Lino Natoli

Chi ha la fortuna di visitare i musei stranieri si rende conto immediatamente del perché i nostri beni culturali sono allo stremo, privi di risorse, incapaci di autofinanziarsi e con la naturale propensione a respingere i visitatori piuttosto che attrarli. La visita ad un qualsiasi museo europeo rende plasticamente evidente la diversa impostazione culturale che la pubblica amministrazione ha nel nostro paese nei confronti dei luoghi deputati a fornire e far fruire cultura. Mentre all'estero i musei, le opere d'arte in genere, vengono considerati opportunità per produrre ricchezza, richiamare turisti, creare occasioni di lavoro, ma soprattutto fucine di idee, creatività, conoscenze; da noi i musei si considerano ancora come delle specie di carceri dove le opere vengono detenute al riparo da malintenzionati, custodite da una pletora di secondini, spesso insofferenti nei confronti dei visitatori considerati dei potenziali nemici mortali della loro placida quotidianità. Quando uso la metafora dei secondini non mi riferisco soltanto ad alcune tipologie di custodi, ma soprattutto ai responsabili delle pubbliche amministrazioni e degli enti deputati alla migliore gestione dei beni affidatigli. In questo modo il museo, anziché produrre ricchezze di vario tipo, riesce a produrre soltanto debiti, divenendo una voce passiva dei bilanci statali e regionali, sopportata con rassegnazione piuttosto che esibita con orgoglio.
In Sicilia, in particolare, la nascita dei beni culturali è stata salutata dai partiti politici del tempo come l'ennesima occasione per creare risorse elettorali, assunzioni a ripetizione a cui non è seguita mai alcuna strategia di promozione e sviluppo. Più recentemente, i beni culturali sono serviti a dare rifugio a precari, lsu e varie tipologie di lavoratori a rischio. Anche in questo caso senza che sia seguita alcuna azione di rilancio del patrimonio artistico e culturale della regione. La testimonianza di questa pochezza, dell'incapacità culturale di misurarsi con i propri compiti è in questi giorni testimoniata dall'imbarazzo proveniente da più parti nei confronti della dinamicità del museo di Lipari. Non volendo rimanere carcere di reperti di straordinario valore, il museo ha aperto nuove strade offrendo l'opportunità al visitatore di misurarsi anche con l'arte contemporanea, con l'antropologia, con la filosofia, con la musica. Riappropriandosi così del proprio ruolo che è quello di motore e stimolo della crescita culturale della comunità nella quale sorge. Perché sia chiaro che i musei hanno un senso se sono destinati ai vivi e non ai morti. Tuttavia questa inattesa attività, questa insospettata volontà di mettersi in gioco, di andare oltre i propri compitini d'ufficio, ha terrorizzato qualche solerte burocrate, poco propenso a visitare i musei altrui, che l'ha considerata come una specie di commistione immonda; contaminazione di sacro e profano, miscuglio di generi che avrebbe danneggiato il buon nome dell'istituto.
In queste condizioni è difficile mantenere l'entusiasmo e coltivare la buona volontà, ma siccome la sopravvivenza dei beni culturali dipende dalla nostra capacità di difenderli, dobbiamo trovare il coraggio di insistere e di fare argine contro questa soffocante incapacità di apprezzare la conoscenza, contro questo atteggiamento retrivo che non protegge i musei ma li accompagna progressivamente alla chiusura. Il compimento di un disegno perverso che ci vuole tutti più poveri ed ignoranti.
Lino Natoli

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