
Il gigante Scorpio non è ancora morto: borbotta. Una volta al mese, per pietà marinara. Da settembre è aggrappato, imbrigliato alla più lunga e blindata banchina di un porto industriale altrimenti vuoto: lo Scorpio è in disarmo. Scalcia e spennacchia un po’ di fumo nero ogni trenta giorni. Poi più nulla fino al mese prossimo. Era una delle quattro navi superveloci della Tirrenia, da due anni è destinato alla demolizione, stessa fine hanno fatto le altre tre regine. Costato cinquantasei milioni di euro, viaggiava a quaranta nodi, copriva la Arbatax-Fiumicino in cinque ore anziché dodici: eccezionale, tempi da far felici, eccome, i passeggeri dannati di questi giorni. È stato condannato a morte nel 2008, consumava troppo gasolio, 290 chili al minuto contro i quarantuno dei traghetti, eppure sopravvive con orgoglio all’agonia che gli hanno imposto. Accade quando la sua badante, un comandante della Compagnia, riaccende le turbine a gas, due, e i motori diesel, quattro: sei gioielli, ex alta tecnologia. Un’ora e mezza di vita, ritrovata, poi sul ponte della nave degli sprechi, di quei soldi pubblici gettati via, riscende pesante l’incubo. Ritorna a essere quello che è: una carretta, ancora presentabile nelle fiancate da poppa a prua, per volontà insindacabile della Tirrenia, pachiderma dello Stato.