Come quasi tutte le
cose, un costo certamente ce l’ha. Non parlo di trasporti, non tanto per la
loro indiscutibile importanza quanto per il fatto che in buona parte non
dipendono dalle possibilità locali. Preferisco invece esprimere alcune
considerazioni proprio su queste ultime. Decenni di analisi del fenomeno
“turismo”, iniziate con gli studi pionieristici del professore Cavallaro e
proseguite fino ai nostri giorni, ci pongono nella felice condizione di
conoscere le caratteristiche medie del turista “destagionalizzante” e le
ragioni del suo soggiorno nell’arcipelago: il territorio. Ovvero, la sua
bellezza intrinseca, il fatto di essere tante isole simili e contemporaneamente
diverse tra loro, che ospitano vulcani attivi e altri ormai spenti, e dunque paesaggi
straordinari, inusuali, ricchi di spazi dove la natura – nonostante qualche
aggressione – regna ancora sovrana. Se vi pare poco. Certo, potremmo dotarci
anche di campi da golf, ma l’acqua costa, i prati inaridiscono e, ad oggi, non
ne abbiamo. Chi ci visita fuori dal periodo estivo dominato dall’offerta “sole
& mare”, dunque, cerca le banalità appena menzionate. Cose semplici, ma non
alla portata di tutti.
Qui infatti
cominciano i problemi. Tranne qualche eccezione, in questo momento le strutture
ricettive aperte ospitano gruppi o “individuali” che ogni giorno partono per
mete spesso a noi ignote (non ci si può andare in auto), lungo sentieri impervi
alla ricerca del paesaggio originale, delle emozioni che ne derivano. Ne ho
diretta esperienza per ragioni professionali, e nella sede dell’associazione
dove lavoro quotidianamente entrano decine di visitatori in cerca di informazioni,
di suggerimenti, di un semplice consiglio; li diamo volentieri, comprendendo
quanto siano preziosi in un territorio dove più del 50% dei percorsi è privo di
indicazioni, e dove il 70% degli stessi è – ormai da anni, sistematicamente –
impraticabile. Aggiungo che negli ultimi dieci anni ho visto abbandonare le
Eolie da solidi tour operator del settore (VBT, Chamina, ecc.) per la
paradossale ragione che i percorsi non sono percorribili. Non è questa la sola causa
della crisi del turismo, ma è indubbio che vi abbia contribuito: ciascun TO portava
10-20 gruppi all’anno che soggiornavano nell’arcipelago da 3 a 7 giorni, e che
oggi non si vedono più. Inoltre gli operatori comunicano tra loro, e il danno
di immagine è cresciuto in maniera esponenziale.
Cosa fare per sanare
questa situazione? Innanzitutto è bene ricordare come quelli definiti
“percorsi”, in realtà, siano soprattutto strade comunali. Se oggi fossimo un
parco nazionale, potremmo bussare alla porta dell’ente pretendendo il loro
recupero e la loro manutenzione. Non lo siamo, e il Comune torna
necessariamente protagonista. Se è vero che la nuova amministrazione, alcuni
mesi fa, ha candidato al finanziamento un progetto realizzato insieme all’Azienda
Foreste per il recupero della sentieristica, è vero tuttavia che l’importo
(circa mezzo milione di euro) permetterebbe di “mettere mano” in maniera
episodica a tre o quattro sentieri, e dunque da solo non risolve il problema.
Ritengo che, non
esaustive ma almeno alla nostra portata, ci siano due soluzioni affrontabili
sul piano locale. Il primo è pressare l’Azienda Foreste affinché assolva gli
impegni che le competono come ente gestore delle riserve orientate di
Stromboli, Panarea, Filicudi e Alicudi: ossia, garantirne la piena
accessibilità e la costante manutenzione delle rispettive reti sentieristiche.
Per ciascuna riserva, infatti, l’Azienda riceve fondi dalla Regione che, seppur
modesti, possono coprire il costo di periodici interventi; del resto, l’Azienda
non ha altre spese sul territorio, dato che non dispone nemmeno degli uffici
delle riserve. Altrimenti rinunci, e ci cercheremo un altro ente gestore che lo
sia di fatto, non solo nominalmente. Il secondo è che il Comune preveda – già a partire dal prossimo bilancio – un
cospicuo capitolo destinato al recupero di un certo numero di sentieri per anno
e alla loro manutenzione. Le risorse devono essere trovate e ci sono: i
proventi della nuova tassa di sbarco. Per troppo tempo abbiamo subito la
pacchiana “emergenza turistica” (e l’altra, non meno pacchiana, “emergenza
vulcani”); ma dei proventi dei relativi ticket, che hanno alimentato le cose
più disparate e fantasiose, l’unica ricaduta positiva sul settore è stata la manutenzione
dei soli sentieri di accesso ai crateri di Stromboli e Vulcano. Adesso che abbiamo
la decenza di chiamare una cosa con il suo nome, ovvero la “tassa di sbarco”,
supportiamola con ragioni sostenibili; per esempio, consapevoli e informati che
una parte sia annualmente destinata al recupero dei sentieri di Lipari e di
Vulcano, i visitatori potrebbero persino pagarla volentieri. L’importanza
dell’intervento non è affatto inferiore ad altre esigenze, come implementare i
servizi o garantire eventi e spettacoli adeguati alla nostra realtà. Ma bisogna
avere il coraggio di condividerne la necessità e l’urgenza. Inoltre, la recente
approvazione del Piano di Gestione dei Siti Natura 2000 delle Eolie da parte
della Regione ci consente di attivare progetti finalizzati alla loro fruizione
e valorizzazione e di ottenerne, almeno in parte, il finanziamento.
Dopo avere ascoltato
l’intervista dell’assessore Cuccia e intuendo come egli – da tecnico –
comprenda il problema molto più a fondo di quanto io sappia fare, vorrei un
impegno preciso e credibile da parte dell’amministrazione cui partecipa. Un
impegno, ripeto, concretizzato già nel prossimo bilancio e organico a quella
più ampia programmazione che egli richiama e che, purtroppo, è mancata per
troppo tempo al nostro comune. Solo con la reale accessibilità di “quel”
territorio che intendiamo rilanciare, sia come nostra principale ed essenziale
risorsa, sia come caratteristica distintiva rispetto ad altre destinazioni,
potremo essere credibili nel mercato turistico e recuperare il tempo e le
occasioni perdute.
Pietro Lo Cascio
consigliere comunale
de “La Sinistra”
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