Il revival democristiano è nei fatti. Il governo dell’emergenza, ultima spiaggia della crisi, è stato affidato a due ex democristiani doc, Gianni Letta e Angelino Alfano. Le radici sono uguali, il cursus honorum profondamente diverso. Il tutor di Gianni Letta è stato Beniamino Andreatta, detto Nino, economista e politico raffinato; il tutor di Angelno Alfano è Silvio Berlusconi. Fra Andreatta e Berlusconi non c’è lo Streto dei Dardanelli, ma l’Oceano Pacifico. Il senso dello Stato è, in gran misura, la qualità dei leader democratici cristiani a qualunque parrocchia appartenessero.
Giulio Andreotti, per dire: gli si può rimproverare di tutto, ma il rispetto per le istituzioni è indiscutibile. La sua ironia corrosiva si è rivolta verso personaggi, situazioni, costumi, stereotipi, luoghi comuni, mai sulle istituzioni. Inquisito più volte, imputato per anni, non ha mai pronunciato una sola parola che potesse ferire la magistratura. Non è fuggito dai processi, li ha affrontati e ne è uscito, tutto sommato, solo con qualche ammaccatura. E’ un caso che Totò Cuffaro, democristiano doc anche lui, abbia seguito il suo esempio, comportandosi da imputato modello?
Angelino Alfano appartiene ad un’altra scuola di pensiero: Berlusconi ha ingaggiato una guerra quotidiana con le toghe, colpevoli di ogni nefandezza: complottisti, eversori, golpisti, persecutori.
Le strade di Letta e Alfano si sono allontanate, una cultura agli antipodi, ma il ceppo resta identico e su di esso si confida oggi per superare frizioni, imboscate, furbizie, ambiguità, equivoci, e tenere a bada i falchi antigovernativi. Come Renato Brunetta, che ha dato il preavviso di sfratto al governo dopo qualche ora dalla sua composizione con la storia dell’Imu prima e della presidenza della Convenzione poi. Nel primo caso, ignorando le dichiarazioni programmatiche del premier sull’Imu approvate dai due rami del parlamento; nel secondo, lanciando una candidatura, quella di Berlusconi alla presidenza della Convenzione, senza averla prima preparata e concordata con i partner dell’alleanza, sapendo che difficilmente sarebbe stata gradita.
Angelino Alfano ha permesso che l’amazzone più irrequieta, dopo Daniela Santanchè, Micaela Biancofiore, fosse trasferita dalle pari opportunità alla pubblica amministrazione, per le sue esternazioni “preventive” sul mondo gay, con il consenso, obtorto collo, di Gianpiero D’Alia, anche lui democristiano doc e “ubbidiente” al punto da non battere ciglia per l’arrivo di due sottosegretari irrequieti come Micaela e Gianfranco Miccichè. Di necessità virtù, insomma: Letta ha dato un segnale di forza, Alfano pure, e D’Alia un segnale di buona volontà. E dire che ha un caratterino non proprio facile: deve essere stato ispirato da quel cognome, Biancofiore, che più democristiano non potrebbe essere, richiamando proprio l’inno della Dc del dopo guerra, per scegliere di portare pazienza. Biancofiore, simbolo d’amore, recita la canzonetta. Ne è passata di acqua sotto i ponti.
Giulio Andreotti, per dire: gli si può rimproverare di tutto, ma il rispetto per le istituzioni è indiscutibile. La sua ironia corrosiva si è rivolta verso personaggi, situazioni, costumi, stereotipi, luoghi comuni, mai sulle istituzioni. Inquisito più volte, imputato per anni, non ha mai pronunciato una sola parola che potesse ferire la magistratura. Non è fuggito dai processi, li ha affrontati e ne è uscito, tutto sommato, solo con qualche ammaccatura. E’ un caso che Totò Cuffaro, democristiano doc anche lui, abbia seguito il suo esempio, comportandosi da imputato modello?
Angelino Alfano appartiene ad un’altra scuola di pensiero: Berlusconi ha ingaggiato una guerra quotidiana con le toghe, colpevoli di ogni nefandezza: complottisti, eversori, golpisti, persecutori.
Le strade di Letta e Alfano si sono allontanate, una cultura agli antipodi, ma il ceppo resta identico e su di esso si confida oggi per superare frizioni, imboscate, furbizie, ambiguità, equivoci, e tenere a bada i falchi antigovernativi. Come Renato Brunetta, che ha dato il preavviso di sfratto al governo dopo qualche ora dalla sua composizione con la storia dell’Imu prima e della presidenza della Convenzione poi. Nel primo caso, ignorando le dichiarazioni programmatiche del premier sull’Imu approvate dai due rami del parlamento; nel secondo, lanciando una candidatura, quella di Berlusconi alla presidenza della Convenzione, senza averla prima preparata e concordata con i partner dell’alleanza, sapendo che difficilmente sarebbe stata gradita.
Angelino Alfano ha permesso che l’amazzone più irrequieta, dopo Daniela Santanchè, Micaela Biancofiore, fosse trasferita dalle pari opportunità alla pubblica amministrazione, per le sue esternazioni “preventive” sul mondo gay, con il consenso, obtorto collo, di Gianpiero D’Alia, anche lui democristiano doc e “ubbidiente” al punto da non battere ciglia per l’arrivo di due sottosegretari irrequieti come Micaela e Gianfranco Miccichè. Di necessità virtù, insomma: Letta ha dato un segnale di forza, Alfano pure, e D’Alia un segnale di buona volontà. E dire che ha un caratterino non proprio facile: deve essere stato ispirato da quel cognome, Biancofiore, che più democristiano non potrebbe essere, richiamando proprio l’inno della Dc del dopo guerra, per scegliere di portare pazienza. Biancofiore, simbolo d’amore, recita la canzonetta. Ne è passata di acqua sotto i ponti.
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