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lunedì 16 settembre 2013

VUOI BALLARE CON ME? GRAZIE, PREFERISCO DI NO. TENGO LA POLTRONA

Rosario Crocetta ci ha messo il carico da novanta, un pietrone di mille tonnellate davanti all’ingresso di Palazzo d’Orleans. Ai deputati regionali che ambiscono alla nomina ad assessore: accomodatevi, ha detto, ma a patto che vi liberate del vostro “fardello”, lo status di parlamentare. I due incarichi insieme sono “incompatibili”, ha ricordato il presidente della Regione, rifacendosi alle scelte del Partito democratico in campo nazionale. Dura da digerire, perché la storia dell’Assemblea siciliana è fatta di deputati- assessori, ed ora, dopo i governi tecnici, entra addirittura l’incompatibilità politica.
In un colpo solo Crocetta cancella ogni questione di principio, abiura al veto ad personam, evita il confronto con il Parlamento regionale, seppellisce l’accusa di ostracismo verso i parlamentari regionali e instaura una “selezione” naturale molto dura da superare.
Solo volontà molto salde lasceranno in stand by, (finora assai affollato), la ressa dei candidati. La rinuncia allo scranno di Palazzo dei Normanni costituisce una scommessa audace. Chi l’accetta, peraltro, si affida totalmente al governatore, il quale può in qualunque momento, anche il giorno dopo le dimissioni da deputato e l’ingresso nel governo, decidere di non servirsi dell’assessore appena nominato e “licenziarlo”. Non solo, anche la permanenza, pur stabile, proporrebbe un rapporto “squilibrato”: l’ex deputato non può fare la voce grossa. Mai. Non è un ostaggio, ma nemmeno un membro del governo “alla pari”. La normativa è quella che è, non l’ha inventata Crocetta.
A Roma può essere accolta con più leggerezza, perché il presidente del Consiglio non può disfarsi dei suoi ministri a suo piacimento. Se vuole farlo, rischia la sfiducia. Naturalmente sia a Roma che a Palermo rimane in piedi la deterrenza politica. Il partito che sostiene la maggioranza, privato del suo rappresentante, potrebbe sulla carta, sfiduciare il presidente della Regione. Una reazione che può essere decisa a condizione che il partito sia forte ed unito e che la “sfida”, dimissioni e crisi di governo e chiusura anticipata dell’Assemblea, non si trasformi un bluff.
La scommessa, dunque, è riposta sulla fiducia. Ma la fiducia in politica è una merce molto rara. Ammesso che essa illumini il cuore e la mente di qualcuno, provvede l’instabilità a cancellare ogni disegno, progetto, programma, provocando la revoca dell’impegno assunto e l’abiura della parola data.
Il cerino, dunque, passa al Pd ed ai candidati, Lupo e Cracolici in primis. Se il partito insiste sull’ingresso di suoi rappresentanti in giunta, non ci sono problemi: basterà che rassegnino le dimissioni da deputato.

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