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giovedì 7 giugno 2012

Gite in barca e Sagrestia (di Lino Natoli)


L'argomento che in questi giorni più appassiona i frequentatori dei blog è la concessione dell'ingresso di una sagrestia a privati che organizzano e vendono escursioni in barca. Alcuni sollevano eccezioni di ordine religioso, altri etici. C'è chi si sente ferito nei propri sentimenti di credente, chi ne fa una questione di giustizia. Vi sono poi i sostenitori dell'iniziativa che, al contrario, la giustificano sia dal punto di vista religioso, sia etico.
Personalmente non mi appassionano né l'aspetto religioso della vicenda, né quello etico. La sensibilità religiosa del credente praticante e professante dovrebbe essere ormai a prova di bomba. Se ha superato il profluvio di notizie riguardanti casi conclamati e sentenziati di pedofilia e abusi su chierichetti, ritrovamenti di cadaveri nei sottotetti delle canoniche, riciclaggio di denaro sporco, seppellimento solenne dentro le basiliche romane di efferati mafiosi, supererà senza troppi affanni anche questa. Anche il risvolto etico della questione mi sembra trascurabile: la raccomandazione del parroco fa parte della nostra tradizione ed è rintracciabile nella letteratura e nella cinematografia di ogni epoca, non solo di quella democristiana.
Ciò che mi pare invece più interessante è l'aspetto sociale della vicenda e che riguarda un comportamento sempre più diffuso che immagino, come molti altri usi, tipicamente locale e difficilmente riscontrabile in altre realtà. Mi riferisco al proliferare di punti vendita di gite in barca nei luoghi più eccentrici. Non solo in botteghini e locali autorizzati, ma anche in finestre, androni, ingressi di abitazioni e portoni che d'estate mutano la loro naturale destinazione d'uso per diventare luoghi d'informazione con accanto relativa attrezzatura pubblicitaria. Immagino che i proprietari di portoni e finestre li mettano anch'essi gratuitamente a disposizione per incrementare i posti di lavoro e dare un'opportunità a giovani intraprendenti in tempo di crisi.
Tutto questo incontra ampi margini di tolleranza proprio perché è parte della nostra tipicità, è il nostro turismo, il modo in cui ci presentiamo ed offriamo al mondo. Un atteggiamento che ormai ci caratterizza e che è diventato il marchio, il brand direbbero gli esperti, l'immagine delle nostre isole. È la consacrazione del precario, dell'instabile, del posticcio, dell'arrangiato, dell'improvvisato. Un atteggiamento diffuso che è ormai parte della nostra cultura, tant'è che possiamo considerarlo naturale, persino rappresentativo. È la trasposizione plastica di ciò che veramente siamo, del talento di cui disponiamo, dell'abilità e della furbizia di cui siamo capaci. Parlare di organizzazione, regolamentazione, professionalità, rispetto per il lavoro altrui, capacità cooperativa, è il vero sacrilegio che non siamo disposti a commettere.
Lino Natoli

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