Egregio Direttore,
In allegato trasmetto alcune
rfiflessioni sulla notizia di un uso commerciale dell'accesso alla
sagrestia della Chiesa al Pozzo. Se lo ritiene opportuno può
pubblicare le riflessioni come in allegato.
Facendo seguito alla querelle sull’uso commerciale di
sagrestie, ritengo in premessa che l’affare in questione è di per sé di infima
importanza per giustificare tante reazioni pro o contro l’iniziativa. Tuttavia,
ai fini della conoscenza, è bene chiarire in linea di principio alcune idee
guida sia di ordine canonico che pastorale, o in altri termini sia nel merito
che nella opportunità.
Circa la legittimità di stipulare
un contratto civile relativo ad un bene appartenente alla parrocchia, che gode
di personalità giuridica ai sensi del canone 515, comma 3 del CJC (Codice di
Diritto Canonico), è ben noto che essa appartiene al parroco, il quale, ai
sensi del canone 532 del CJC, “rappresenta la parrocchia, a norma del diritto,
in tutti i negozi giuridici” e ne cura i beni
“amministrati a norma dei cann. 1281-1288”. Circa i luoghi sacri lo stesso
codice definisce tali “quei luoghi destinati al culto divino…” (can .1205), nei
quali è “vietato qualunque cosa sia aliena dalla santità del luogo” (can 1210).
Se poi trattasi di “chiesa” “casa di
Dio”, allora “sia tenuto lontano da esse tutto ciò che è alieno dalla santità
del luogo” (can. 1220, comma 1). Ciò detto, è nelle prerogative esclusive del
parroco amministrare i beni ricadenti nella sua giurisdizione. Nulla perciò di
illegittimo se coerente con lo scopo del bene amministrato, soprattutto quando
esso diventa strumento di carità.
Per quanto riguarda invece
l’opportunità di concedere all’uso commerciale, per altro eticamente non
discutibile, parte di un luogo sacro, magari nel solo periodo estivo, penso che
essa debba essere oggetto di riflessione non solo naturalmente del parroco nella
sua giurisdizione, ma anche del consiglio pastorale parrocchiale, il quale è
chiamato a promuovere l’attività pastorale ed in essa anche quella caritativa.
Immagino che il parroco abbia sollecitato o accolto il suggerimento di tale
iniziativa nell’ambito di tale consiglio, ne abbia valutato le ragioni e
stimato le conseguenze pastorali e caritative, magari all’interno di un piano
pastorale più ampio sull’uso dei beni ecclesiastici nel territorio
parrocchiale. Circa la tipologia dell’affare, locazione o comodato d’uso o
altro, e la sua durata, solo per periodo estivo o per un periodo più lungo,
penso che il parroco abbia interessato oltre che il citato consiglio, anche il
consiglio per gli affari economici parrocchiale, il quale “aiuta il parroco
nell’amministrazione dei beni della parrocchia, fermo restando il disposto del
can. 532”. Ai fedeli nell’ambito della loro libertà e dignità rimane sempre “il
diritto di manifestare ai Pastori della Chiesa le proprie necessità,
soprattutto spirituali, e i propri desideri … di manifestare il loro pensiero
su ciò che riguarda il bene della Chiesa; e di renderlo noto agli altri fedeli,
salva restando … il rispetto verso i
Pastori, tenendo inoltre presente l’utilità comune…”(can. 212).
Sotto questa ottica la querelle è inutile e fine a se stessa,
prima di tutto perché relativa ad un affare di infima importanza,
secondariamente perché l’affare è finalizzato ad un’opera di bene. Tuttavia
l’affare assume un significato particolare per una duplice ragione: il luogo dove è situata la chiesa (centro città) e il
tempo a cui l’affare fa riferimento
(periodo estivo). Nessun clamore sorgerebbe se queste due condizioni fossero
assenti: lontananza dal centro città e poca effervescenza commerciale, pur
rimanendo fermi i principi canonici sopra citati. Sono perciò la posizione del
luogo sacro ed il periodo, ai quali l’affare in parola si riferisce, che
generano discussione e qualche perplessità negativa, dettate, più che dal
sentimento religioso, dalla consapevolezza di una irrituale ed inusuale
competizione commerciale. Da questo punto di vista il parroco ed il consiglio
pastorale potrebbero opportunamente riconsiderare questa azione pastorale per
tenere lontana la parrocchia da ogni competizione commerciale e per fugare ogni
dubbio di interpretazione affaristica delle sue attività pastorali. Diverso
sarebbe stato se l’affare in parola fosse stato riferito ad un comune fabbricato nella giurisdizione
parrocchiale non adibito al culto pubblico anche se nel centro cittadino e nel
periodo di grande affluenza turistica con evidenti interessi commerciali.
dott. Giuseppe Mollica
NDD- Il dott. Mollica, così come da questa redazione espressamente richiesto per verificare la reale esistenza di chi ci invia mail, ci ha inviato il suo numero di telefono; presso il quale abbiamo fatto l'opportuna verifica
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