Cerca nel blog

venerdì 8 giugno 2012

A proposito dell’accesso alla sagrestia della Chiesa al Pozzo concesso ad un uso commerciale.

 Egregio Direttore,
In allegato trasmetto alcune rfiflessioni sulla notizia di un uso commerciale dell'accesso alla sagrestia della Chiesa al Pozzo. Se lo ritiene opportuno può pubblicare le riflessioni come in allegato.
Facendo seguito alla querelle sull’uso commerciale di sagrestie, ritengo in premessa che l’affare in questione è di per sé di infima importanza per giustificare tante reazioni pro o contro l’iniziativa. Tuttavia, ai fini della conoscenza, è bene chiarire in linea di principio alcune idee guida sia di ordine canonico che pastorale, o in altri termini sia nel merito che nella opportunità.
Circa la legittimità di stipulare un contratto civile relativo ad un bene appartenente alla parrocchia, che gode di personalità giuridica ai sensi del canone 515, comma 3 del CJC (Codice di Diritto Canonico), è ben noto che essa appartiene al parroco, il quale, ai sensi del canone 532 del CJC, “rappresenta la parrocchia, a norma del diritto, in tutti i negozi giuridici” e ne cura i beni  “amministrati a norma dei cann. 1281-1288”. Circa i luoghi sacri lo stesso codice definisce tali “quei luoghi destinati al culto divino…” (can .1205), nei quali è “vietato qualunque cosa sia aliena dalla santità del luogo” (can 1210). Se poi trattasi di “chiesa”  “casa di Dio”, allora “sia tenuto lontano da esse tutto ciò che è alieno dalla santità del luogo” (can. 1220, comma 1). Ciò detto, è nelle prerogative esclusive del parroco amministrare i beni ricadenti nella sua giurisdizione. Nulla perciò di illegittimo se coerente con lo scopo del bene amministrato, soprattutto quando esso diventa strumento di carità.
Per quanto riguarda invece l’opportunità di concedere all’uso commerciale, per altro eticamente non discutibile, parte di un luogo sacro, magari nel solo periodo estivo, penso che essa debba essere oggetto di riflessione non solo naturalmente del parroco nella sua giurisdizione, ma anche del consiglio pastorale parrocchiale, il quale è chiamato a promuovere l’attività pastorale ed in essa anche quella caritativa. Immagino che il parroco abbia sollecitato o accolto il suggerimento di tale iniziativa nell’ambito di tale consiglio, ne abbia valutato le ragioni e stimato le conseguenze pastorali e caritative, magari all’interno di un piano pastorale più ampio sull’uso dei beni ecclesiastici nel territorio parrocchiale. Circa la tipologia dell’affare, locazione o comodato d’uso o altro, e la sua durata, solo per periodo estivo o per un periodo più lungo, penso che il parroco abbia interessato oltre che il citato consiglio, anche il consiglio per gli affari economici parrocchiale, il quale “aiuta il parroco nell’amministrazione dei beni della parrocchia, fermo restando il disposto del can. 532”. Ai fedeli nell’ambito della loro libertà e dignità rimane sempre “il diritto di manifestare ai Pastori della Chiesa le proprie necessità, soprattutto spirituali, e i propri desideri … di manifestare il loro pensiero su ciò che riguarda il bene della Chiesa; e di renderlo noto agli altri fedeli, salva restando …  il rispetto verso i Pastori, tenendo inoltre presente l’utilità comune…”(can. 212).
Sotto questa ottica la querelle è inutile e fine a se stessa, prima di tutto perché relativa ad un affare di infima importanza, secondariamente perché l’affare è finalizzato ad un’opera di bene. Tuttavia l’affare assume un significato particolare per una duplice ragione: il luogo  dove è situata la chiesa (centro città) e il tempo  a cui l’affare fa riferimento (periodo estivo). Nessun clamore sorgerebbe se queste due condizioni fossero assenti: lontananza dal centro città e poca effervescenza commerciale, pur rimanendo fermi i principi canonici sopra citati. Sono perciò la posizione del luogo sacro ed il periodo, ai quali l’affare in parola si riferisce, che generano discussione e qualche perplessità negativa, dettate, più che dal sentimento religioso, dalla consapevolezza di una irrituale ed inusuale competizione commerciale. Da questo punto di vista il parroco ed il consiglio pastorale potrebbero opportunamente riconsiderare questa azione pastorale per tenere lontana la parrocchia da ogni competizione commerciale e per fugare ogni dubbio di interpretazione affaristica delle sue attività pastorali. Diverso sarebbe stato se l’affare in parola fosse stato riferito  ad un comune fabbricato nella giurisdizione parrocchiale non adibito al culto pubblico anche se nel centro cittadino e nel periodo di grande affluenza turistica con evidenti interessi commerciali.                       
dott. Giuseppe Mollica    
NDD- Il dott. Mollica, così come da questa redazione espressamente richiesto per verificare la reale esistenza di chi ci invia mail, ci ha inviato il suo numero di telefono; presso il quale abbiamo fatto l'opportuna verific
 

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.