Rubando un termine coniato da un noto economista, Eugenio Benettazzo, stiamo proprio vivendo in “Neurolandia”, pazzi al potere che giornalmente ci propinano la loro “cura” per mali che loro stessi hanno creato.
La follia dell’eurozona si sta palesando ogni giorno di più ai miei occhi....
Dopo le dichiarazioni del nostro premier Letta, giorno 3 luglio, che potete apprezzare qui:
http://tg24.sky.it/tg24/economia/2013/07/03/conti_pubblici_bilanci_letta_esulta_flessibilita_barroso_patto_stabilita_lavoro.html
con le quali manifesta esultanza per i risultati conseguiti in Europa, vorrei chiedervi: ma c’è davvero da esultare?
Sono incline a pensare si tratti dell’ennesimo episodio di “psicosi da eurozona”, ormai sempre più diffusa ( uno dei primi ad essere contagiati, ed ormai irrimediabilmente compromesso, fu proprio il Neurofolle Mario Monti! ) tanto che ormai questa gente vive totalmente scollegata dalla realtà.
Ma, visto che tanto spazio lasciano in TV a questi simpatici ometti, mi appare più che mai necessario affrontare qui alcuni aspetti economici normalmente taciuti o minimizzati dai media, anche perchè ritengo che sia un errore lasciare il dibattito economico in mano a questi pseudo-economisti di sistema senza approfondire, e cominciare a porsi legittime e vitali domande, unica strada possibile per sottrarsi al quotidiano “lavaggio del cervello” mediatico che ci giunge attraverso notizie manipolate e verità distorte.
Dunque, come stanno le cose?
Le cose stanno che stando ai dati la pressione fiscale in Italia è ai massimi storici dagli anni ‘90, anni dell’uscita della lira dallo SME, e nonostante ciò il gettito fiscale non è aumentato, ma è rimasto uguale a quello dell’anno scorso. Come mai, vi chiederete? Ma semplicemente perchè i consumi sono crollati ed hanno chiuso i battenti migliaia di aziende, il numero di partite IVA è diminuito, siamo in meno a pagare le tasse e dunque paghiamo, e pagheremo, sempre di più.
Tenete presente che nel 2013 stiamo pagando circa 93 miliardi di soli interessi sul debito, e le proiezioni ci dicono che supereremo i 100 miliardi verso il 2015.
Ciò accompagnato ( mi spiace dirvelo, è triste, ma meglio saperlo ) da aumento sostanziale del debito pubblico, riduzione della spesa pubblica ( = meno servizi ), contrazione ulteriore dei salari medi, disoccupazione a livelli estremi e tassazione alle stelle.
Mi sembra infantile ripetersi, come fanno in molti, “ dai, ora ci riprendiamo!”, così giusto per autoconvincersi, quando in realtà non vi è alcun indizio che ciò, almeno per ora, possa avvenire...
Per ottobre è previsto l’aumento dell’iva di un punto, e questo è un grosso errore, comporterà un danno all'erario stimabile in alcuni miliardi per colpa dell'effetto recessivo, oltre a far perdere di competitività i nostri prodotti nei confronti di quelli esteri; per far capire quanto siamo in difficoltà basti pensare che il solo fatto di aver rimandato tale aumento di un paio di mesi ha costretto il governo a fare altri aumenti importanti: l’acconto dell’Irpef e dell’Irap dovuto dalle persone fisiche e dalle società di persone aumenterà sin dal novembre 2013 dal 99 al 100%; l’acconto Ires e Irap dovuto dalle persone giuridiche sale, sempre a decorre da novembre 2013, dal 100 al 101% (avete letto bene: 101%!).
Non oso neanche immaginare a cosa dovremmo ricorrere, a questo punto, se dovesse slittare ancora questo fatale aumento dell’IVA...
Ora proverei a sbilanciarmi nelle previsioni, se il debito pubblico va aumentando ( vi ricordo che abbiamo superato i 2.000 miliardi!!! ) , gli interessi sul debito pure e le tasse anche, mi spiegate quale sarebbe la ricetta per far uscire il nostro paese dalla crisi?
La risposta è semplice, se restiamo con le regole dell’eurozona, questa ricetta semplicemente non esiste e purtroppo la spirale in cui ci troviamo sarà irreversibile se non verrà attuata una decisa azione di protesta politica.
Senza troppa fatica o preparazione accademica, e senza entrare nel merito dei meccanismi bancari dell’unione che sono anch’essi totalmente perversi e da rivedere, possiamo individuare facilmente 2 aspetti che spesso vengono trascuratii:
1- Utilità di una unità monetaria
Il sistema euro non è cooperativo, in verità è come se avessimo disegnato un ring entro cui i singoli stati sono posti in competizione fra di loro, laddove il successo commerciale dell’uno ( leggi: Germania ) si alimenta del deficit degli altri ( leggi: paesi meridionali ) . L’atteggiamento direi cinico dell’Europa nei confronti di paesi come la Grecia e dei suoi cittadini dovrebbe far riflettere...
Questo aspetto “non cooperativo” e “non solidale” dell’eurozona fa si che essa si presenti chiaramente come un’ unione monetaria destinata a fallire o comunque a creare grossi squilibri economici e sociali. Come ben noto agli economisti ( quelli veri ) le caratteristiche che deve avere una AVO ( Area Valutaria Ottimale ) per essere funzionale sono: cooperazione tra gli stati aderenti, omogeneità tra i sistemi educativi, fiscali, giudiziari, amministrativi, e alta mobilità dei lavoratori ( e magari una lingua unica! ). Allo stato attuale la Comunità Europea non possiede neanche uno di questi requisiti, fate pure le vostre valutazioni, comunque considerate che la crisi del 1992 fu proprio causata dall’ingresso nello SME, cioè un’area a cambi fissi, e che è stato possibile per noi riprenderci solo uscendone e svalutando la nostra moneta portandola ad un valore sostenibile per la nostra economia.
2- Il concetto di competitività.
Giornalmente troviamo che questa parola è sempre più pronunciata e presente sui giornali, non siamo abbastanza competitivi, dobbiamo riacquistare competitività, etc...
Lo sviluppo globale, a quanto ci dicono, si basa sulla competitività fra gli stati, e dunque “competitivo è bello”!!!:
Riflettiamo, non facciamoci prendere per il culo così, il grande sviluppo tecnologico del nostro secolo aveva fatto sperare che fosse possibile un miglioramento delle condizioni di vita generali nel mondo, ed invece?
Eh bè, invece è successo che incalzati dalle economie emergenti, le democrazie occidentali si sono accorte che la “democrazia ed i diritti civili costano”, e dunque per essere “competitivi” nel confronti dei paesi emergenti del terzo mondo bisogna progressivamente comprimere salari e tutele dei lavoratori, sacrificati sull’altare della “competitività”!
Pensateci, se in Italia un operaio lavorasse per 1 euro l’ora, il nostro paese sarebbe senz’altro più competitivo rispetto ai concorrenti esteri e tutti aprirebbero fabbriche da noi, i nostri prodotti costerebbero meno, giusto?
Ma questo porterebbe maggiore benessere diffuso? Ovviamente no, porterebbe solo ad aumentare la forbice dei salari, pochi ricchissimi ed il resto della popolazione in totale povertà.
Signori, non scherziamo, l’attività politica ed economica deve avere un “fine”, un obbiettivo da realizzare, che non è semplicemente dire “i conti sono a posto”, ma “i cittadini sono a posto”.
Eppure ci propinano le loro ricette alterando ad arte le parole della comunicazione.
Il termine “lavoro precario” viene trasformato in “flessibilità del lavoro”, “tassazione iniqua” viene tradotto in “sacrifici necessari”, “sottrazione di democrazia” diventa, appunto, “necessità di competitività”.
Dunque riassumendo abbiamo sviluppo economico in paesi dove esso non è accompagnato da sviluppo democratico, e questo favorisce la concentrazione della ricchezza in poche mani ed economie in crescita a doppia cifra solo grazie all’abbondanza di lavoro non specializzato a basso costo . Parallellamente abbiamo recessione e crisi economica nei paesi “democratici”, i quali per reagire alla crisi sembra non riescano ad immaginare altro se non progressivamente ridurre diritti e reddito dei loro cittadini.
Benvenuti in Neurolandia...
Francesco Finocchiaro
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