In una società civile, democratica e progredita, la politica è lo strumento di mediazione tra opinioni diverse. Serve a comprendere le ragioni di tutti e accoglie ogni argomento, anche quelli che alla maggioranza possono apparire provocatori e pretestuosi, altrimenti si esce dal campo della politica e si entra in quello della fede. Siccome per salute la fede aiuta ma non basta, questo è il momento di ascoltare tutti senza pregiudizi o reciproche accuse. Per quanto mi riguarda, avendo partecipato per puro caso, oltre un anno e mezzo fa, ad un convegno interessantissimo organizzato da un'associazione locale sul tema dei parti prematuri e difficoltosi, ed avendo letto su questo stesso sito l'intervento un padre che ha vissuto l'esperienza drammatica della sofferenza del figlio appena nato, mi astengo dagli atti di fede e ripropongo l'idea che un ospedale deve essere un luogo dove si somministrano cure e al quale ci si affida con fiducia. Ciascuno di noi può dire se sino ad oggi è sempre stato così.
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giovedì 20 ottobre 2011
La politica e l'ospedale (di Lino Natoli)
(Lino Natoli) Quando si comincia a dire che non ci si occupa di politica perché la politica fa schifo, lo schifo s'impadronisce della politica. E quando lo schifo fa politica, la politica non può che produrre porcherie. Inutile sottolineare che dalla politica dipende la nostra vita sociale, il benessere, la salute, il lavoro, l'istruzione, la tutela dei diritti, il sostegno per i più bisognosi. La politica è quella che ognuno di noi fa, o subisce, tutti i giorni. Talvolta la nostra politica quotidiana non è meno nauseante di quella che disprezziamo quando leggiamo i giornali, ma sembra che parlare male della politica faccia apparire migliori, più nobili, più puri. In questi giorni siamo costretti a fare i conti con le conseguenze delle decisioni della politica, in particolare riguardo la questione dei trasporti e quella attualissima dell'ospedale. La Siremar sta chiudendo, lo Stato ha dismesso la Tirrenia e ceduto le società regionali alle singole regioni, tranne alla Sicilia che ha rifiutato. Adesso sembra che la Siremar possa essere acquistata da una società composta da privati con la partecipazione della Regione Sicilia. Rimane da capire perché la Sicilia non ha voluto la Siremar dallo Stato quando poteva averla gratis, mentre adesso la compra mettendoci dentro un sacco di soldi (nostri). La questione, c'è da scommetterci, presto potrebbe spostarsi dalle aule del parlamento a quelle dei tribunali, certamente a quelle della Corte dei Conti. Ma il problema che la politica proprio in questi giorni ci pone è quello della chiusura dell'ospedale. Le opinioni sono diverse, talvolta espresse anche con un'animosità eccessiva, tuttavia sembra che possiamo essere d'accordo su un punto: vogliamo l'ospedale, ma non nelle condizioni in cui è adesso. Per la verità va detto che l'ospedale di Lipari non ha mai goduto di una grande reputazione, e questo per colpa della politica. Credo che pochi abbiano difficoltà a ricordare la storia dell'ospedale di Lipari, in particolare da quando divenne (come si definiva una volta) una USL autonoma. La politica prestò tutta la sua attenzione non alla finalità per la quale sorgeva l'USL, cioè la cura dei malati, ma fu ossessionata dalla preoccupazione verso i direttori, dirigenti, impiegati, amministrativi, medici, infermieri, inservienti, portantini, autisti, telefonisti, creando una formidabile fabbrica di consensi che alimentava la DC e, in misura diversa, anche gli altri partiti del tempo. La festa servì a dare lavoro a tanti che difficilmente avrebbero potuto avere altre occasioni. Ma questa non è solo la nostra storia, è la storia della sanità in gran parte del meridione. Certo, è la storia della sanità anche di altre parti d'Italia, solo che altrove si è continuato ad avere il pudore di occuparsi anche della salute dei malati, oltre che di quella dei dipendenti. Adesso che la festa è finita e che non ci sono più soldi da buttare, la politica cerca di correre ai ripari usando il bisturi, appunto. Solo che a soffrirne saranno ancora i malati e quelle professionalità che dentro l'ospedale di Lipari pure in questi anni sono maturate e che andranno perdute. Non vogliamo un ospedale aperto e basta, vogliamo un ospedale nel quale possiamo trovare dei servizi certi e dei quali ci possiamo fidare. Non vogliamo un ospedale che curi tutto, lo vorremmo ma non possiamo permettercelo. Possiamo pretendere però di sapere cosa in quell'ospedale si può curare e se gli standard di sicurezza e di efficienza offerti siano comparabili con quelli di altri ospedali. Vogliamo sapere se ammalarsi, aspettare un bambino, partorire, sottoporsi ad un accertamento clinico per noi debba essere considerata un'aggravante per il solo fatto che viviamo su delle isole. La risposta a queste domande può darle solo la politica, e se non saranno soddisfacenti avremo tutto il diritto di prendercela con chi fa della pessima politica e con noi stessi che in tutti questi anni siamo stati complici della cattiva politica o, nella migliore delle ipotesi, testimoni impassibili della lenta agonia del nostro ospedale per colpa della politica.
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