La notizia è venuta fuori in maniera molto particolare. L'altra mattina davanti al gup di Reggio Calabria era sotto processo il boss barcellonese Giuseppe Gullotti detto "l'avvocaticchio". È imputato di minaccia ad un corpo giudiziario per la sua lunga deposizione in videoconferenza rilasciata all'udienza dell'11 marzo del 2009 tenutasi a Messina davanti alla corte d'assise d'appello del maxiprocesso alle cosche mafiose tirreniche e nebroidee "Mare Nostrum", nel corso della quale fece tra l'altro pesanti allusioni ai giudici popolari. In questo procedimento s'è costituito parte civile l'avvocato Fabio Repici, che è stato il legale di parte civile per la famiglia di Beppe Alfano, il giornalista ucciso dalla mafia a Barcellona Pozzo di Gotto nel gennaio del 2003.
Il pm reggino che si sta occupando del processo a Gullotti è Federico Perrone Capano, e lo sta facendo da mesi insieme al capo dell'ufficio, il procuratore Giuseppe Pignatone. L'altra mattina nell'ambito di questa udienza preliminare che vede imputato il boss Gullotti, che peraltro è stata rinviata all'11 gennaio prossimo, tra gli atti a supporto che ha depositato il pm Perrone Capano c'era anche quello che riguardava un suo collega, l'ex sostituto della Procura di Barcellona Pozzo di Gotto, oggi giudice della quinta sezione penale del Tribunale di Milano, Olindo Canali.
E lì, tra le carte del processo, il pm Perrone Capano, controfirmata dal capo della Procura reggina Giuseppe Pignatone, ha depositato la richiesta di rinvio a giudizio per Canali, in cui s'ipotizza il reato di falsa testimonianza «con l'aggravante di aver commesso il fatto al fine di agevolare l'attività dell'associazione di tipo mafioso denominata cosa nostra ed in particolare della sua articolazione di Barcellona Pozzo di Gotto, facente capo a Gullotti Giuseppe». Quindi viene anche contestata l'aggravante prevista dall'articolo 7 della legge n. 203/1991.
La falsa testimonianza sarebbe stata commessa nel corso della seconda parte della deposizione che Canali fece il 15 aprile del 2009 davanti alla corte d'assise d'appello del maxiprocesso "Mare Nostrum", di cui tra l'altro il magistrato fu pm in primo grado. E si sarebbe concretizzata con una condotta specifica, perché nel corso della testimonianza resa in aula, Canali «negava il vero sostenendo di non aver redatto, nel periodo immediatamente successivo alle festività natalizie 2005, documenti e memoriali, relativi all'omicidio Alfano, diversi ed ulteriori rispetto al file inviato per posta elettronica al giornalista Leonardo Orlando e negava il vero sostenendo di non aver ricevuto confidenze da Beppe Alfano in merito all'omicidio in danno di Giuseppe Iannello». Quindi avrebbe negato l'esistenza di più memoriali, quei memoriali scritti da Canali che "irruppero" nel maxiprocesso d'appello.
Tornando al processo che vede imputato il boss Gullotti a Reggio Calabria, nasce sostanzialmente da una dettagliata relazione di servizio che il 13 marzo del 2009 scrisse il sostituto della Dda Fabio D'Anna, uno dei magistrati che rappresentò l'accusa al maxiprocesso d'appello Mare Nostrum, inviandola al capo del suo ufficio, Guido Lo Forte, e che il procuratore capo di Messina inviò per competenza ex art. 11 c.p.c. al collega di Reggio Calabria Giuseppe Pignatone. In quella relazione il pm D'Anna segnalava tra l'altro al capo del suo ufficio la vicenda del memoriale di Canali e la lunga deposizione del boss Gullotti («... ha concluso le sue dichiarazioni formulando quelle che, almeno a mio avviso ma questa è stata l'impressione di tutti i presenti, sono state delle vere e proprie minacce nei confronti di tutti...»)
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