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martedì 30 aprile 2013

LEANZA SCENDE DAL TAXI, MA D’ALIA SALE SULL’AUTO BLU


In dicembre dello scorso anno, quando Lino Leanza venne eletto presidente del gruppo parlamentare Udc dell’Assemblea regionale siciliana, qualcuno – anzi più dì uno – arricciò il naso. In considerazione dei precedenti, la disinvolta appartenenza di Leanza ai partiti fino ad allora scelti, concedeva ai malpensanti alcune buone ragioni. Come fate a fidarvi di Leanza, era il quesito rivolto ai dirigenti. Ha scelto l’Udc come un taxi, dicevano, perché il partito di Raffaele Lombardo è alla vigilia della dissoluzione. La leadership dell’Udc, a cominciare daGianpiero D’Alia e Giovanni Ardizzone, persone navigate e di buonsenso, hanno ascoltato e sono andate avanti come se nulla fosse. Hanno allargato le braccia, nulla di più. Que sera, sera, come vuole quel motivetto degli anni Cinquanta.
Non è che non sapessero come sarebbe andato a finire, beninteso; quelli hanno il pelo sullo stomaco, a nostro avviso, solo che hanno messo in conto l’abbandono. Sul piatto della bilancia ha pesato un altro elemento, il risultato elettorale. Per ora mettiamo in cassa i voti, poi si vede. Vogliamo dargli torto?
La debole appartenenza di Leanza avrebbe potuto fare danni – e potrebbe farne a Palazzo dei Normanni – ma resta confinata alla Sicilia, non attraversa lo Stretto. Qualunque cosa decida l’ex capogruppo Udc all’Ars non fa notizia a Roma, mentre il risultato elettorale a due cifre dell’Udc siciliano, quello sì che fa notizia e, soprattutto, regala alla leadership isolana, la considerazione che l’Udc siciliano ha sempre ottenuto nella Capitale sin dai tempi di Totò Cuffaro.
I conti tornano. In effetti, il partito di Casini nell’Isola ha compiuto una specie di miracolo, riuscendo in breve ad ammortizzare la scissione cuffariana, voluta da Saverio Romano e Lillo Mannino. Avrebbe potuto provocare conseguenze disastrose, invece non ha scalfito più di tanto l’Udc siciliano, che resta il più forte fra le regioni italiane.
La tenuta, è bene precisarlo, non è merito esclusivo di Leanza, che pure nel Catanese è stato premiato dagli elettori, ma a un lavoro intenso e tenace compiuto su larga scala. Rinnovamento, con judicio, insomma. Alcune novità importanti ed alcuni rientri (Nino Dina) altrettanto importanti.
Ci sono, naturalmente, i danni emergenti: Leanza ha sottratto tre deputati al gruppo parlamentare dell’Udc all’Ars ed un deputato al gruppo del Pid, gli scissionisti di Saverio Romano, e ha costituito un nuovo gruppo, Articolo 4, che si richiama alla priorità del lavoro ed è una risposta alle scelte fini qui compiute in Assemblea durante la sessione di bilancio. Il gruppo non esce dalla maggioranza ma annuncia di non sentirsi vincolato ad alcun programma. Voteremo di volta in volta i provvedimenti, fa sapere Leanza. Traduzione: il governo deve contrattare tutto con noi. Non cambierà il quadro politico, è un problema in più per Rosario Crocetta.
La decisione di abbandonare l’Udc è arrivata, però, manco a farlo apposta, nel momento migliore (per l’Udc), la denuncia dell’abbandono si è incrociata con la nomina a ministro della Repubblica di Gianpiero D’Alia. Il partito siciliano, a due cifre, insomma, ha incassato quel che si aspettava. E dopo avere piazzato uno dei suoi uomini alla testa dell’Ars, Giovanni Ardizzone, guadagna il nuovo riconoscimento.
Rispetto a qualche anno fa, inoltre, le posizioni dell’Udc e del Pid, il partito nato dalla scissione cuffariana, si sono ribaltate: il Pid è pressoché inesistente, ed il suo leader, Saverio Romano, è stato “sostituito” al governo dal suo antagonista, Gianpiero D’Alia.
Leanza, insomma, val bene una messa.

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