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giovedì 30 luglio 2009

Lipari. Quei ruderi delle terme romane (di Michele Giacomantonio)

(Michele Giacomantonio) Da alcuni anni fa bella mostra di sé, di fronte al palazzo vescovile, una struttura in legno e plexiglas che sormonta dei ruderi non proprio di facile interpretazione. Anche perché i pannelli descrittivi sono stati posti misteriosamente in un riquadro di terreno, a fianco ai ruderi, ma rigorosamente chiuso al pubblico con un bel cancello di ferro. Eppure si tratta della più importante opera che Lipari possa vantare del periodo romanico. Un’opera di cui si è parlato e fantasticato a lungo nella Lipari della mia infanzia quando questi ruderi giacevano sepolti anche se se ne conosceva l’esistenza e di essi si raccontavano meraviglie: si parlava di una struttura imponente, di mosaici bellissimi, di saloni dotati di impianti di riscaldamento notevoli per l’epoca in cui erano stati costruiti, ecc. ecc. Si parlava, si disquisiva si attendeva che un giorno o l’altro questo tesoro nascosto fosse riportato alla luce. Riportato, perché per ben due volte gli scavi avevano permesso di accedervi ma poi tutto era stato ricoperto. Oggi che sono finalmente alla luce qualcuno si chiede se valeva veramente la pena spendere 400 mila euro per disotterrarli e per presentarli al pubblico con quella struttura che bella sicuramente non è. Qualcun altro parla addirittura di “giallo” perchè le terme riscoperte sarebbero solo una parte dell'antico edificio mentre l'altra giacerebbe sotterrata o devastata dalle fondamenta delle costruzioni limitrofe e della strada che porta al palazzo vescovile .
La prima volta la Terme - perché di questo si tratta di una Terme realizzata nel periodo imperiale di Roma nel II secolo dopo Cristo - era stata scoperta all'inizio del 1800 dal Vescovo Mons. Reggio che era ansioso – si legge in una Guida per la Sicilia, pubblicata a Napoli nel 1842 – di trovare qualche avanzo dell'antica città e quindi aveva fatto fare degli scavi tra il palazzo vescovile ed il Seminario. Ma poi, qualche decennio dopo, un successore di Mons. Reggio, Mons, Todaro, “annoiato dalle visite dei viaggiatori che venivano ad ammirare questo nobile monumento” lo fece nuovamente sotterrare.. Intanto però nel 1824 questi scavi erano stati visitati dal capitano della marina britannica William Henry Smith che ne aveva fatto una precisa e puntuale descrizione pubblicata con cartine e disegni n una rivista di Archeologia inglese nel 1831. Ed era stato il capitano Smith a parlare a disegnare una pianta di come appariva l'edificio con un vestibolo, il bagno con acque fredde o tiepide, il deposito dei profumi e degli unguenti, la sala massaggi con “un grossolano pavimento a mosaico, composto da tessere bianche e nere che raffiguravano al centro, in maniera distinta, due mostri marini circondati da cerchi e da un motivo a scacchiera”, quindi un'altra stanza per la sudorazione anch'essa guarnita di mosaico con una decorazione più fantasiosa che immette in un ambiente semicircolare, la piscina o un grande bacino per i bagnanti. I muri di queste due camere erano rivestiti verticalmente di tubi in terracotta in comunicazione con uno spazio vuoto sotto il pavimento, alto circa due piedi, dove vi era una fornace che aumentava il calore naturale dell'acqua che era di circa 50 gradi centigradi.
Di questo edificio si continuò a parlare e favoleggiare a lungo nelle istituzioni e nei salotti di Lipari e nel 1950, col consenso del vescovo Mons. Bernardino Re, il Prof. Luigi Bernabò Brea, “ per corrispondere a pressanti richieste che venivano rivolte alla Soprintendenza”, eseguì un saggio che mise in luce “ due grandi ambienti consecutivi in senso est ovest, rettangolari, di eguale lunghezza (m. 5,50) e della larghezza complessiva di m. 15,50, entrambi con ipocausto ( impianto usato dai romani per riscaldare le terme).....E' ovvio – scrive sull'”Archivio storico per la Sicilia Orientale” nel 1954 il fondatore del Museo Eoliano -che queste stanze fanno parte di un edificio, fornito di impianti termali, che deve essere di notevole estensione e il cui scavo importerebbe notevoli spese, sia per il valore dell'area sia per le opere di consolidamento e di protezione che si renderebbero necessarie a scavo compiuto”.
Così l'edificio termale venne ancora una volta ricoperto fino a quando la Regione, nel 2002 non finanziò, con fondi della Comunità europea, una apposita campagna di scavi, proteggendo i resti venuti alla luce con una moderna copertura. Ma i resti che si possono ammirare oggi sono privi dei tanto lodati mosaici descritti puntualmente e con disegni dal Capitano Smith. Inoltre il prof. Bernabò Brea parla di due grandi ambienti ( quelli rinvenuti negli ultimi scavi) mentre Smith ne descrive tre.. Certamente i mosaici saranno in fase di restauro e contiamo che fra qualche tempo saranno accessibili anche al grande pubblico non sappiamo se sul posto dove sono stati rinvenuti o, meglio protetti, in un reparto del Museo archeologico, ma che fine ha fatto la terza stanza? Vittorio Giustolisi nel libro “Le terme romane della città di Lipari” pubblicato nel 2006 avanza l'ipotesi che una parte significativa dell'edificio sia finita sotto costruzioni abbastanza recenti e precisamente quella dove oggi ha sede la banda musicale, l’hotel Filadelfia e la stessa strada che porta al palazzo vescovile, viale Mons. Re. Tutte opere realizzate dopo il 1950 quando non solo si conosceva l’esistenza del monumento ma questo era stata confermato e probabilmente perimetrata dai saggi effettuati dal prof. Bernabò Brea nel 1950. Ed a riprova di questo pubblica una pianta dove il disegno di Smith viene calato sul terreno con le nuove costruzioni. Ad un occhio profano quale può essere il nostro ci sembra che le terme così come disegnate da Smith certamente interferiscono con la strada e devono essere state traversate dalle fognature urbane realizzate nel 1975. Non ci sembra però che arrivino a interessare anche gli altri edifici indicati. Comunque rimane il problema di come questo sia stato possibile. Se lo chiede Vittorio Giustolisi e ce lo chiediamo anche noi. Possibile che negli anni 60 e negli anni 70 si avesse così scarsa considerazione dei resti archeologici conosciuti ma non ancora portati alla luce da non vincolare i terreni con appositi strumenti di tutela?
Non ci sembra però che si debba parlare di giallo bensì di grossolana superficialità degli amministratori dell’epoca: gli stessi che autorizzarono a demolire l’artistico cancello che introduceva al viale vescovile e l’altro edificio, sulla sinistra del cancello, dove ora è la piazzetta con la palma. Uno dei capitoli, non pochi, degli scempi del nostro patrimonio storico e culturale.
Data notizia 30/07/09 a cura di Salvatore Sarpi