Leonardo Orlando (Gazzetta del sud) Si avvia a conclusione il processo sull'attività estrattiva illegale nelle cave di pomice gestite dalla Pumex di Lipari.
Il pubblico ministero Olindo Canali, che assieme al collega Francesco Massara aveva svolto le indagini, ha chiesto la condanna a 3 anni e 6 mesi di reclusione e 400 euro di multa per l'industriale Vincenzo "Enzo" D'Ambra, in qualità di presidente e amministratore delegato del Cda dell'impresa pomicifera. La condanna a due anni di reclusione ciascuno è stata chiesta anche per il direttore tecnico di cava e di stabilimento della Pumex, Francesco Galvagno; per il capo delle squadre di operai che in azienda distribuiva gli ordini di lavoro, Enrico Lo Monaco e per un dipendente dell'azienda Eugenio Saltalamacchia. L'assoluzione è stata invece invocata per i tre componenti del consiglio di amministrazione dell'azienda, l'avv. Romeo Palamara, Giuseppina D'Ambra, albergatrice e sorella di Vincenzo e per l'avv. Antonio Giuffrida. La posizione dei tre consiglieri è da considerarsi marginale. La sentenza è attesa per il prossimo 22 giugno e sarà emessa dal giudice monocratico di Lipari, Roberto Gurini, dopo l'intervento del collegio difensivo degli imputati.
Le accuse per le quali gli imputati sono stati processati sono quelle di violazione delle leggi sulla tutela ambientale, in particolare l'articolo 181 comma I bis della legge 42/2004 e in rapida sequenza delle accuse di furto aggravato ai danni dello Stato, art. 624 e 625 del codice penale. Seguono nelle originarie contestazioni mosse agli indagati dai due magistrati inquirenti i reati di invasione e occupazione di terreni al fine di trarne profitto, art. 633; deturpamento di beni immobili art. 639 e distruzione e deterioramento di bellezze naturali, art. 734 del codice penale.
L'inchiesta che ha portato alla richiesta di citazione in giudizio da parte della Procura di Barcellona è stata resa nota il 31 agosto del 2008 con il clamoroso sequestro giudiziario delle cave di pomice e delle aree circostanti su cui venivano stivati scarti di lavorazione industriale, residui di lapilli e inerti, oltre a materiali ferrosi.
L'area industriale su cui la magistratura aveva fatto apporre i sigilli che ancora permangono è estesa per 1 milione e 300 mila metri quadrati situata in località Porticello e Punta Castagna. Successivamente per una parte, quella relativa alle cosiddette scorie, la Cassazione aveva disposto il dissequestro classificando il materiale stivato come prodotto naturale frutto delle estrazioni dalla cava.
Il sequestro era stato disposto perché la Pumex stava effettuando «attività estrattiva abusiva di pietra pomice nell'area dell'ex cava di Porticello e la susseguente modifica morfologica della stessa area». Sarebbe inoltre stata riscontrata dalla magistratura l'assenza di una «prescritta autorizzazione» all'attività estrattiva, la distruzione o deterioramento di bellezze naturali, l'abbandono e il deposito incontrollato dello scarto dell'attività estrattiva abusiva depositata in località Punta Castagna.
Per le contestazioni di furto aggravato l'autorità giudiziaria ha rilevato che tra il 20 gennaio e il 24 luglio 2007 la Pumex si impossessava di rilevante quantità di pietra pomice di proprietà demaniale, «tramite attività di escavazione abusiva». Per la Procura, nonostante il blocco decretato dalla Regione, nell'area si sarebbe proseguito nell'attività estrattiva, mentre invece era stata dichiarata dall'azienda in via esclusiva la lavorazione delle cosiddette scorte di lapillo e altro materiale per circa 70-80 mila metri cubi.