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sabato 9 marzo 2013

Morte di un sub a Vulcano. Notificati 5 avvisi di garanzia

di Michele Schinella
Al timone dell’imbarcazione pirata Nabilia che il 13 luglio del 2006 tra Lipari e Vulcano ha ucciso il sub torinese Mauro Falletta, c’erano Martino Bianco e Carlo Maria Francesco Bonaccorsi. Ma Lino Siclari, il patron dell’Aicon, la società di Giammoro quotata in Borsa che produceva yacth di lusso, Giuseppe Cattafi ed Emanuele Bucalo, altri due comandanti di barche, li hanno aiutati a nascondere per anni la verità e a sottrarsi alle indagini. I due comandanti, il primo di Merì, il secondo di Milazzo, alla guida dell’Aicon 56, hanno colpito il medico il cui corpo fu trovato dilaniato dalle eliche e non si sono fermati per prestare soccorso: oltre che di omicidio colposo sono accusati di omissione di soccorso. E’ questa la conclusione a cui è giunta la Procura di Barcellona, guidata da Salvatore De Luca, che ha notificato 5 avvisi di avvisi di garanzia e si accinge a chiedere per gli indagati il rinvio a giudizio.
BINOCOLO VIRTUOSO. I primi indizi che misero gli inquirenti sulle tracce di un yacth di proprietà di AironBlu, una delle tante società della galassia del gruppo di Lino Siclari, li diede un ingegnere che dichiarò alle autorità di avere notato, quel giorno attraverso il binocolo, tre uomini e una donna affacciarsi a poppa dello yacht dopo il drammatico impatto. Dichiarò anche che il natante, allontanatosi a forte velocità dopo il mortale incidente, aveva scritto su una fiancata il nome Nabilia, un nome femminile arabo. “Dopo l’urto, i passeggeri, si precipitarono a poppa e si sporsero per vedere cosa era successo”, ha riferito l’ingegnere.  Le ricerche, che videro impegnate le vedette della Guardia costiera di Lipari, allora al comando di Paolo Masella e Giuseppe  Donia, e dei Carabinieri e della Polizia, non approdarono a nulla di concreto anche se era trapelato da mesi che gli inquirenti cercavano degli elementi per chiudere il cerchio delle indagini. E’ stato Christian Pistonina, ex braccio destro di Siclari, che lo nominò liquidatore di Aicon nel 2010, a dare agli inquirenti le tracce che cercavano per capire meglio il come e il perchè. Pistonina interrogato nel 2012 dagli inquirenti ha detto: “Emanuele Bucalo, il 24 marzo del 2012 mi ha detto che l’incidente era stato causato da uno yacth Aicon in fase di collaudo e per insabbiare il reale motivo per cui lo yacth navigava il giorno dell’incidente era stato redatto un falso contratto di noleggio. Mi ha pure detto che un suo parente, Carmelo Mastrojeni, conosceva altre informazioni sull’accaduto”. Emanuele Bucalo, comandante di imbarcazioni dl Barcellona, era stato interrogato il 18 maggio del 2006 a pochi giorni dall’evento mortale: “Non so nulla”, rispose. I magistrati gli contestano il favoreggiamento personale. Come lo contestano a Giuseppe Cattafi, milazzese, un altro uomo di equipaggio che lavorava spesso per Airon Blu, che diede la stessa risposta di Bucalo: “Sapeva invece la verità e ha mentito per aiutare Bonaccorsi e Bianco”, sostengono i magistrati. Lino Siclari invece interrogato il 14 luglio del 2011, aveva detto di non sapere quale fosse l’imbarcazione coinvolta nell’incidente nè chi fosse a bordo: “Era a conoscenza che si trattava di un’imbarcazione Aicon gestita per conto di altre società”, dicono i magistrati. A distanza di 7 anni, dunque, gli inquirenti ritengono di avere accertato che lo yacht pirata era un mezzo ancora in fase di allestimento e che quel giorno stava effettuando un giro di prova. Secondo quanto emerso i documenti non erano in regola e non era attiva neppure una copertura assicurativa.
MISTERI IRRISOLTI - Le indagini, invece, continuano per capire come sia stato possibile far svanire nel nulla l’imbarcazione Nabilia. Come se non fosse mai esistita. Secondo un’ipotesi, su cui convergono vari indizi, dopo avere straziato con le eliche il corpo del giovane medico, lo yacht pirata sarebbe stato tirato in secco e nascosto in un capannone. Sarebbero state poi eliminate le lettere che componevano il nome dell’imbarcazione. Imbarcazione successivamente immatricolata con un altro nome. Chi ha aiutato i due dell’equipaggio? C’era qualche altro a bordo dell’imbarcazione?
LA TRAGEDIA - Mauro Falletta era giunto il venerdì precedente a Lipari, con la moglie, la figlioletta di 2 anni e mezzo e due amici, per trascorrervi le ferie. Anestesista lavorava sino a qualche tempo prima all’ospedale ‘Le Molinette’ di Torino per poi trasferirsi ad Asti, nell’ospedale dove lavorava anche la moglie Valeria, ginecologa. Gli investigatori hanno impiegato anni per ricostruire, sia pure parzialmente, la verità. Se è accaduto è perchè i familiari non si sono mai rassegnati. Mentre i colpevoli cercavano di sfuggire alla giustizia, la madre di Marco Falletta nel 2009, fece un pubblico appello pubblicato su La Stampa di Torino.
L’APPELLO - “Sono la mamma di Mauro Falletta. Il 13 luglio del 2006, mio figlio è stato ucciso dall’elica di un motoscafo pirata, nelle acque di Vulcano. A distanza di oltre tre anni, malgrado gli sforzi di molti, il responsabile non è stato individuato. Questo fatto non mi consente di tentare di trovare nè pace nè rassegnazione. Per me è come se mio figlio morisse ancora ogni giorno. Scongiuro chi ha investito il giovane sub di costituirsi: non posso pensare che un’altra mamma, un altro padre, un’altra sposa, altri figli, debbano vivere nella tragedia, anche l’altra tragedia dell’attesa infinita di sapere chi è stato”. Il figlio Mauro avrebbe compiuto 34 anni ad agosto del 2006

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