Se Matteo Renzi abbraccia Rosario Crocetta ed affrontano insieme la campagna congressuale in Sicilia e al di là dello Stretto, vado dal barbiere e mi faccio rapare (quasi) a zero. L’ipotesi viene data, a questo punto, dai bookmakers virtuali, due a uno. Chi scommette un euro ne guadagna appena due, la qualcosa significa che è assai probabile che i due rottamatori – il fiorentino ed il gelese – sono “coniugabili”. Una eventualità che fino a qualche settimana fa avrebbe fatto sorridere gli addetti ai lavori perché la prima mossa del governatore siciliano, in pieno rilancio del suo Movimento, il Megafono, all’indomani delle politiche di febbraio, è stata l’inaugurazione di un circolo nella città di Firenze. Insomma, ha portato la guerra in casa di Matteo, che in effetti non se n’è adontato più di tanto, avendo da sopportare un fronte d’attacco troppo ampio per riservare all’omologo siciliano una attenzione particolare. Sul ring, dunque, non sono mai saliti.
Da quel giorno, restando nell’alveo di una costante e irriducibile opposizione ai vertici del partito, il renziano Davide Faraone, rappresentante del sindaco di Firenze in Sicilia, avrebbe messo nel mirino Rosario Crocetta. Un fuoco di fila di contestazioni, accuse, sospetti e perfino qualche insulto, che riuscivano a oscurare la timida opposizione del centrodestra. Non è che tutto scorresse liscio a Palazzo d’Orleans da non meritarsi critiche e qualche rimprovero, solo che Faraone è parso uno schiacciasassi, riduceva in briciole tutto ciò che capitava. Un fulmine di guerra.
Quando Fabrizio Ferrandelli si arruolò nell’esercito dei rottamatori renziani, la potenza di fuoco aumentò in modo esponenziale e Rosario Crocetta dovette prendere atto con amarezza, visto che aveva lavorato sodo a favore di Ferrandelli candidato sindaco di Palermo, al punto da continuare la battaglia solitaria, uperinde ac cadaver, dopo la fuga, improvvisa, dell’eurodeputata Alfano, allora nelle fila dell’Italia dei valori di Antonio Di Pietro.
Acqua passata non macina mulino, specie in politica. Ora le cose potrebbero cambiare, e qualche avvisaglia che stessero per cambiare l’abbiamo già registrata. Quando il segretario del Pd siciliano, Beppe Lupo, ha fatto la faccia feroce – che è una cosa difficile da immaginare – Faraone e Ferrandelli non hanno accolto la novità con entusiasmo, come si sarebbe potuto sospettare. Le correnti siciliane, ad eccezione dei renziani, avevano stretto d’assedio il governatore sul rimpasto, chiedendo il “rafforzamento” della giunta di governo – in realtà la nomina di assessori designati dal Pd fra i suoi deputati (Cracolici e lo stesso Lupo, pare), e Crocetta aveva posto il veto. Sicché i renziani hanno messo il dito sulla piaga: si tratta di poltrone, un conflitto che non ha niente a che vedere con la qualità dell’azione di governo. I dubbi sulla nobiltà dell’iniziativa hanno preparato un atterraggio morbido nella nuova era: i rottamatori si mettono in proprio e si rafforzano.
Crocetta non nega di avere in corso un dialogo con Matteo Renzi. Enzo Bianco non è estraneo all’avvicinamento fra i due, anche perché nelle ultime ore, rompendo un lungo silenzio, il sindaco di Catania ha dato una mano a Rosario crocetta, incoraggiando lui e gli assessori invitati a dimettersi, a continuare il loro lavoro. Quando Enzo Bianco annunciò il suo sostegno a Matteo Renzi, il sindaco di Palermo – tradizionale alleato di Bianco – fece sapere che anche lui aveva grande fiducia nel rottamatore.
Potrebbe accadere l’impossibile, dunque, che Crocetta, Bianco e Orlando si ritrovino dalla stessa parte alle primarie del centrosinistra, se non nel congresso del Pd. Il diavolo e l’acqua santa? Non esageriamo. Certo, non ci si annoierebbe, sarebbe come avere quattro Zamparini al vertice della squadra siciliana.
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