Il secondo partito della coalizione vincente, l’Udc, ha indicato Giovanni Ardizzone per la presidenza dell’Assemblea. I democratici hanno accolto l’indicazione. Ma Pd e Udc hanno fatto qualcosa di diverso che in passato: hanno riunito attorno ad un tavolo i gruppi parlamentari di opposizione con il proposito di determinare delle convergenze sull’elezione degli organismi di “governo” dell’Assemblea. Una scelta che avrebbe sicuramente favorito, com’è avvenuto, il candidato dell’Udc, ma che ha instaurato un tavolo istituzionale, che potrebbe essere utile per una proficua attività parlamentare. È stato compiuto un tentativo, non sappiamo con quanto successo al di là degli assetti interni da costituire, per dare una marcia in più alla legislature, evitando la conflittualità permanente che ha impaludato l’Assemblea, impedendole una seppur decorosa efficienza.
Sul nome di Giovanni Ardizzone dovrebbero confluire i voti del centrodestra oltre che quelli della maggioranza, assicurando l’elezione del candidato dell’Udc. Si parte, dunque, con il piede giusto, ma non basta per trarre auspici definitivi sulla legislatura.
Non è la prima volta che si cerca di costituire un tavolo istituzionale che lasci in piedi i due ruolo essenziali di ogni assemblea, la maggioranza e l’opposizione. Di fato i due tavoli, sottobanco o meno, hanno dato prova di esistere fino agli anni settanta-ottanta, con i comunisti politicamente all’opposizione, ma nel cosiddetto arco costituzionale e, in forma poco trasparente, nelle istituzioni. Di questa fase della storia parlamentare l’Assemblea regionale siciliana, del resto, porta i segni con un regolamento interno che favorisce il coinvolgimento delle opposizioni nell’attività legislativa attraverso l’attribuzione di competenze alle Commissioni che spetterebbero all’esecutivo.
La difficoltà di mantenere in piedi i due tavoli, tuttavia, non è dovuta unicamente alla cattiva volontà, alla propensione agli inciuci, alle furbizie parlamentari, ma al confine assai labile che c’è fra scelte politiche ed istituzionali. Perché i due tavoli s’incontrino sulle decisioni, le scelte politiche devono tramutarsi in scelte parlamentari, da qui non si scappa.
La legislatura dell’Assemblea presenta, sulla carta, molte novità di rilievo: un abbassamento consistente dell’età media dei deputati regionali, un turn-over assai importante, più della metà degli uscenti sono rimasti a casa, e l’arrivo, prima che a Roma, di una nuova realtà politica, il Movimento 5 Stelle, che ha conseguito un lusinghiero successo alle urne, portando a Sala D’Ercole ben quindici deputati, prevalentemente giovani e senza alcuna esperienza politica alle spalle. Sconosciuti, dunque. È giustificato che gli occhi siano puntati su di loro, che ci sia grande curiosità su ciò che potranno o sapranno fare.
Il Parlamento regionale ha un debito pesante di trasparenza nei confronti dei siciliani, della democrazia e della stessa autonomia, che l’ha generato. Ci sono regole borboniche da smantellare, un munitissimo fortilizio che finora non è stato scalfito e, se proprio vogliamo dirla tutta, nemmeno scalato.
I costi del parlamento sono alti, la sua efficienza bassa. Ogni legislatura porta alla tomba, dopo averli tenuti a binario morto, migliaia di iniziative parlamentari, legislative ed ispettive, molte delle quali vengono imbellettati e rimessi a nuovo per essere riproposti alla legislatura successiva.
La legislatura appena conclusa ha parlato molto di risparmi senza farne, ha evocato efficienza senza ottenerne. È una eredità difficile da gestire. Confidiamo nell’esprit de siècle, come amava dire qualcuno. Le vacche sono dimagrite a vista d’occhio e la possibilità di “compromessi” con la spartizione dei dividendi non esiste. Il perseguimento del bene comune, e solo quello, può regalare visibilità e consensi ai partiti ed ai gruppi parlamentari che li rappresentano a Palazzo dei Normanni. Buon lavoro.
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