Tra un’isola e l’altra, il traghetto segue una rotta serpeggiante tra la minuscola Ginostra, i faraglioni di Panarea e Filicudi per poi entrare finalmente nella rada di Rinella. Dopo dodici ore di vento marino, è il profumo a tradire l’indole di Salina: non minerale e non più marino, come sugli scogli più rocciosi dell’arcipelago, ma vero odore di campagna bruciata dal sole, con il dolce dei fichi d’india e delle viti. Una lunga strada sale a traversare uno dopo l’altro tutti i borghi dell’isola - che conta tre comuni diversi: prima Leni, a mezza costa verso la costa siciliana e poi, oltrepassato il valico di Valdichiesa, si scende a Malfa, allargata a mezza costa nella zona più ricca di campi e vigneti dell’intera isola.
Con tratti scoscesi a picco sul mare, la via prosegue verso Santa Marina, il paese più grande dell’isola, anch’esso scalo per traghetti e aliscafi e si conclude a Lingua, ai piedi del faro che guarda verso la vicina Lipari, da dove arriva galleggiando la pietra pomice che colora di grigio chiaro le spiagge. A un passo dalle acque immobili dello stagno salmastro, si può iniziare a seguire il filo della storia di Salina nelle sale del piccolo museo, discreto e quasi nascosto tra le case.
Tra gli oggetti della vita quotidiana di pescatori basta poca attenzione per comprendere l’importanza che l’isola ebbe in passato: le navi cariche di malvasia, il prodotto più importante di Salina, lasciavano Santa Marina dirette verso il continente, da dove i barili partivano in direzione di Parigi, Londra e la remota corte di San Pietroburgo. Anche un naturalista doc come Lazzaro Spallanzani, autore di una monumentale opera sulle isole, tra lo schizzo di un vulcano e una dotta notazione geologica non poté fare a meno di parlare del vero tesoro salinese: «durante la mia dimora colà, mi riuscì a stento di procurarmene tanto, onde confortare talvolta lo stomaco, e ravvivare gli spiriti abbattuti dalle penosissime mie pellegrinazioni, come pur di recarne meco, qual rara e deliziosa bevanda, alcuni saggi a Pavia».
La zona più ricca di vigneti - dai cui muretti fanno capolino anche le onnipresenti piante dei capperi, seconda e più rustica gloria gastronomica di Salina - s’incontra dirigendosi verso Malfa. Il cappero che viene normalmente utilizzato in cucina è in realtà il bocciolo del fiore, mentre il frutto - il cucunciu - è di forma allungata e si usa soprattutto crudo e si conserva sott’aceto. Alle spalle del paese di Malfa, il versante sale ripido verso i coni vicini dei due antichi vulcani di Salina: Monte Fossa delle Felci, che sfiora i mille metri di quota e il più basso Monte dei Porri.
Partendo dal colle di Valdichiesa, una passeggiata conduce verso la vetta più alta di Salina: un sentiero segnato segue a tratti la strada forestale diretta verso Monte Fossa delle Felci ed è difficile aspettarsi, dopo il grigio polveroso e bruciato delle pietre dei muretti a secco, con lo sgattaiolare furtivo delle lucertole, che il paesaggio divenga verde, fresco e lussureggiante appena si entra nei boschi di castagni che coprono le quote più alte della montagna. La vetta non è altro che il bordo di un antico cratere, divorato dal tempo, che è stato colonizzato da un mare di felci verdissime. Lungo la discesa, i più allenati possono decidere di seguire le indicazioni sulla destra verso Malfa: la via è ripida ma porta a poca distanza dalle grotte abitate in passato quando le armi saracene s’affacciavano all’orizzonte.
Dalla via principale dell’isola che congiunge Rinella a Malfa, tra un vigneto e l’altro, si stacca una deviazione verso Pollara che, in breve, raggiunge il Semaforo e il panorama più emozionante dell’isola. Davanti, sul mare, si stagliano le sagome di Filicudi e Alicudi. In basso, immerse nel verde, le case di Pollara occupano il versante semicircolare di un cratere enorme, il cui centro si trovava dove oggi emergono dalle onde le rocce taglienti del Faraglione. Tra queste case è stata girata una parte del Postino di Massimo Troisi e da questo tratto di costa, che si può raggiungere con una ripida discesa a piedi fino ai vecchi ricoveri delle barche scavati nella roccia, si può godere quello che molti definiscono il più bel tramonto delle Eolie.
Una seconda passeggiata, meno impegnativa, è la traversata che conduce proprio dal Semaforo di Pollara fino a Leni, percorrendo a mezza costa il crinale di Monte dei Porri (in circa un’ora e mezza di cammino). Sulle pendici, oltre il belvedere di Pizzo del Corvo aperto su Alicudi e Filicudi, lo spettacolo degli uliveti abbandonati è impressionante: per quasi un’ora si cammina tra le piante e i muretti a secco che, per secoli, sono stati la ragione di vita di generazioni di isolani.