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martedì 13 novembre 2012

Fede e politica (di Lino Natoli)


Chi professa una fede parte da un presupposto indiscutibile: egli è nella verità. Possiede la verità, la interpreta e giudica tutto ciò che accade attraverso il dogma in cui crede. L'uomo, o la donna, di fede quasi sempre appartengono ad una chiesa o ad un gruppo organizzato dentro il quale tutti condividono il medesimo dogma. In quella chiesa, o in quel gruppo, si forma una gerarchia che assume diverse funzioni e tutti diventano funzionari di un'unica verità.
Possedendo la verità, e condividendola con gli altri credenti, si ritiene di essere depositari di un privilegio assoluto, mi permetto di dire metafisico. In questo modo, chi è parte della chiesa è puro, nobile ed intangibile; chi invece non appartiene a quella chiesa o dubita di quella verità, è considerato minore, privo della medesima dignità, più prossimo alla condizione animale che umana: una specie di bruco insomma.
La storia è tristemente piena tragedie procurate dalla fede: la convinzione di avere Dio dalla propria parte ha costituito la più ignobile delle giustificazioni per commettere crimini orrendi.
La storia, tuttavia, non è fuori di noi, ma è parte di noi, quindi non possiamo ritenere di essere immuni da certi atteggiamenti. Intendo dire che quando si comincia a pensare di essere nella ragione, mentre tutto il mondo che ci circonda sta nel torto, il rischio dell'intolleranza è dietro l'angolo. Così, se non si sta attenti, si scivola dall'ambito teologico a quello politico senza neppure accorgersene. Accade che la critica diventa eresia, l'incomprensione ignoranza, il dissenso perversione. Non riuscendo a parlare al prossimo, non trovando gli argomenti per convincerlo, non potendo trasformarlo in proselite lo si accusa di essere corrotto, incline al mercimonio, mancante di qualsiasi ideale, pronto a cedere ad ogni promessa, disponibile a tutti i compromessi.
Le idee si sprecano, ma i voti mancano: ci sarà un  perché? Possibile che l'unico motivo da prendere in considerazione sia la mancanza di fede? Non può essere, invece, che non si riesce più a comunicare con le persone, ad ascoltarle, a coinvolgerle, a renderle partecipi di un processo di cambiamento che parta proprio da quei problemi che non riescono a risolvere? La politica in fondo è questo, comprendere i problemi delle persone e delle comunità, proporre delle soluzioni, mediarle con chi la pensa diversamente per trovare una strada che sia percorribile insieme. Se, invece, si preferisce rintanarsi nella propria verità allora è meglio fondare un circolo, un club dove tutti i soci la pensano allo stesso modo e si litiga non perché si hanno idee diverse ma caratteri diversi.
Domenica sera su Rai News ho visto un pezzo di festa organizzata per la vittoria di Crocetta in Sicilia. Ho sentito Battiato cantare “La Cura”, ho pensato a 150 anni di governo di questa regione sottomessa alla mafia, all'ingiustizia, al malaffare, alla corruzione, alla prepotenza. Ho pensato ai morti ammazzati solo perché avevano fatto il loro dovere, a Portella della ginestra, alla sequela di sindaci, amministratori locali, presidenti di regione accusati, sospettati o condannati per avere avuto rapporti con la mafia. Vedendo Battiato sul palco ho pensato che finalmente qualcosa sta cambiando anche in Sicilia. Poi Crocetta ha detto che se in consiglio non si troverà una maggioranza, allora si tornerà a votare. Qualcuno a sinistra, anche nella sinistra locale, anziché temere e deprecare una simile eventualità ha persino auspicato che si voti presto. Immagino per far rivincere i soliti e dedicarsi così alle proprie professioni di fede con maggiore intensità.
A forza di salvaguardare la propria identità e a non contaminare la propria purezza la chiesa si è ridotta in sagrestia. A me, che son devoto, non resta che accendere un cero.

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