
Possedendo la verità, e
condividendola con gli altri credenti, si ritiene di essere depositari di un
privilegio assoluto, mi permetto di dire metafisico. In questo modo, chi è
parte della chiesa è puro, nobile ed intangibile; chi invece non appartiene a
quella chiesa o dubita di quella verità, è considerato minore, privo della
medesima dignità, più prossimo alla condizione animale che umana: una specie di
bruco insomma.
La storia è tristemente piena
tragedie procurate dalla fede: la convinzione di avere Dio dalla propria parte
ha costituito la più ignobile delle giustificazioni per commettere crimini
orrendi.
La storia, tuttavia, non è fuori
di noi, ma è parte di noi, quindi non possiamo ritenere di essere immuni da
certi atteggiamenti. Intendo dire che quando si comincia a pensare di essere
nella ragione, mentre tutto il mondo che ci circonda sta nel torto, il rischio
dell'intolleranza è dietro l'angolo. Così, se non si sta attenti, si scivola
dall'ambito teologico a quello politico senza neppure accorgersene. Accade che
la critica diventa eresia, l'incomprensione ignoranza, il dissenso perversione.
Non riuscendo a parlare al prossimo, non trovando gli argomenti per
convincerlo, non potendo trasformarlo in proselite lo si accusa di essere
corrotto, incline al mercimonio, mancante di qualsiasi ideale, pronto a cedere
ad ogni promessa, disponibile a tutti i compromessi.
Le idee si sprecano, ma i voti
mancano: ci sarà un perché? Possibile
che l'unico motivo da prendere in considerazione sia la mancanza di fede? Non
può essere, invece, che non si riesce più a comunicare con le persone, ad
ascoltarle, a coinvolgerle, a renderle partecipi di un processo di cambiamento
che parta proprio da quei problemi che non riescono a risolvere? La politica in
fondo è questo, comprendere i problemi delle persone e delle comunità, proporre
delle soluzioni, mediarle con chi la pensa diversamente per trovare una strada
che sia percorribile insieme. Se, invece, si preferisce rintanarsi nella
propria verità allora è meglio fondare un circolo, un club dove tutti i soci la
pensano allo stesso modo e si litiga non perché si hanno idee diverse ma
caratteri diversi.
Domenica sera su Rai News ho
visto un pezzo di festa organizzata per la vittoria di Crocetta in Sicilia. Ho
sentito Battiato cantare “La Cura”, ho pensato a 150 anni di governo di questa
regione sottomessa alla mafia, all'ingiustizia, al malaffare, alla corruzione,
alla prepotenza. Ho pensato ai morti ammazzati solo perché avevano fatto il
loro dovere, a Portella della ginestra, alla sequela di sindaci, amministratori
locali, presidenti di regione accusati, sospettati o condannati per avere avuto
rapporti con la mafia. Vedendo Battiato sul palco ho pensato che finalmente
qualcosa sta cambiando anche in Sicilia. Poi Crocetta ha detto che se in
consiglio non si troverà una maggioranza, allora si tornerà a votare. Qualcuno
a sinistra, anche nella sinistra locale, anziché temere e deprecare una simile
eventualità ha persino auspicato che si voti presto. Immagino per far rivincere
i soliti e dedicarsi così alle proprie professioni di fede con maggiore
intensità.
A forza di salvaguardare la
propria identità e a non contaminare la propria purezza la chiesa si è ridotta
in sagrestia. A me, che son devoto, non resta che accendere un cero.
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