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mercoledì 3 aprile 2013

Il ricordo di Edoardo Bongiorno (Stampa di Torino -articolo di Marcello Sorgi)


di Marcello Sorgi
Era una persona speciale, Edoardo Bongiorno. E non solo perch'era figlio di Leonida, il partigiano comunista che amò Edda Ciano Mussolini, e nipote di "Don Eduardo" il capo della banda municipale di Lipari che fece scappare dall'isola gli antifascisti Carlo Rosselli, Emilio Lussu e Francesco Fausto Nitti. Il peso di una storia familiare così importante se lo portava sulle spalle spavaldamente, ma Edoardo era un personaggio in sè.
Il suo orizzonte era il corso di Lipari, che attraversava a passo svelto, salutando tutti ad alta voceo. Il suo teatro era l'Hotel Oriente, che governava parlando quattro o cinque lingue alternate allo stretto dialetto liparese. Il suo museo era la villa di Capistello, piena fino di cimeli antiquari, che rivelavano la sua passione più forte: quadri, sculture, ma soprattutto oggetti restaurati di epoche passate, scovati in soffitte polverose.
Ci eravamo conosciuti nell'estate del 2007. Accompagnato dal direttore del Centro Studi Eoliani Nino Paino, avevo fatto il mio primo ingresso in quello strano ambiente, a metà tra un albergo e un laboratorio. Edoardo era nel suo studio, con accanto la valigia dei mille viaggi di suo padre Leonida e la custodia del trombone di nonno Eduardu. Quando gli chiesi se era disposto a farmi vedere le lettere e i documenti sulla storia d'amore tra il partigiano e la figlia del Duce, la sua prima risposta fu un no. Per convincerlo, ci volle un anno, e un avvicinamento selvatico e cauteloso, come sono sempre le conoscenze tra siciliani. Quando Edoardo si decise ad aprire l'armadio dei ricordi in cui Leonida aveva nascosto il memoriale sulla sua storia con Edda, diventammo amici.
L'8 dicembre 2008 aveva le lacrime agli occhi, mentre, con cura certosina, liberava a poco a poco dal 
suo involucro l'album in cui Leonida aveva raccolto gli originali delle lettere di Edda, i suoi appunti personali, con date, simboli, ricordi e perfino una ciocca di capelli di lei. Non chiese nulla. Il libro nato da quella preziosa documentazione, "Edda Ciano e il comunista", pubblicato da Rizzoli nel 2009, volle vederlo solo stampato. Tanto, convenne, mio padre sarebbe stato d'accordo. Era difficile pensare il contrario, vedendo con quale meticolosità Leonida avesse raccolto il materiale, riordinandolo e conservandolo perché potesse essere reso noto dopo la sua morte.

Andammo insieme a parlarne nella scuola in cui il partigiano aveva insegnato inglese a generazioni di ragazzi eoliani che lo ricordavano solo come "u prufissuri". E ogni volta che ci ritrovavamo insieme a presentare il libro, il vero protagonista era lui, nessuno come Edoardo riusciva a far rivivere quella storia che a Lipari tutti conoscevano, ma che una sorta di pudore storico aveva sepolto per decenni, perché era come se non fosse lecito, nell'Italia repubblicana , parlare dell'amore tra una donna fascista dell'importanza di Edda e un comunista sfuggito alla condanna a morte delle SS come Leonida.
Diede ancora il meglio di sè quando dal libro fu ricavato un film per Rai 1, e nel settembre 2010 un'intera troupe cinematografica, guidata dal regista Graziano Diana e dal produttore Luca Barbareschi sbarcò a Lipari per ricostruire dal vivo la storia. Era uno spettacolo vederlo aggirarsi sul set, sulla piazza della vecchia marina, ascoltarlo consigliare tutti - Alessandro Preziosi che nel film era Leonida, Stefania Rocca che faceva Edda, e le comparse liparesi che chiamava per nome -, carpire certe piccole estasi in cui si lasciava sfuggire i segreti della "Petit malmaison", la casa di don Eduardu che aveva accolto la confinata Edda a Lipari, e dove Leonida la raggiungeva ogni sera, alla luce della pallida luna d'inverno. Ci fu una festa grandiosa nella casa di Capistello, per celebrare la fine delle riprese. Edoardo scelse personalmente il menu, suonò e cantò con la sua voce roca, in francese, le canzoni di Jacques Brel, mentre la notte eoliana, tiepida, stellata e settembrina, riempiva i cuori di un imprevedibile insieme, gli attori, gli isolani e le ombre di Leonida e Don Eduardu, presenti in mezzo a noi.
Volle ovviamente partecipare all'anteprima del film, il 12 marzo 2011, alla Casa del Cinema a Roma. E, manco a dirlo, alla puntata di "Porta a porta" a cui Bruno Vespa lo aveva invitato per la sera prima. Arrivò con qualche giorno d'anticipo, per fare una specie di allenamento, in vista della registrazione del programma. Non ne aveva bisogno. Fu il mattatore della serata e si esibì in uno spassoso duetto con Maria Scicolone, la sorella di Sofia Loren, che come nuora di Edda cercava invano di arrestare il fiume in piena delle sue rivelazioni in diretta. A casa mia, dove poi ci riunimmo per brindare all'uscita del film, tenne banco fino a notte alta, concludendo con una spettacolare recita dell'Odissea in greco, alla maniera di casa Bongiorno.
Come sia potuto scendere il velo dell'addio sullo sguardo lampeggiante di Edoardo, è difficile dirlo. L'estate scorsa, certo, era un po' depresso: parlava svogliatamente della crisi, e dei suoi acciacchi di "sessantenne malvissuto", come amava definirsi con un pizzico di civetteria. Poi raccontò ancora di Leonida. In un giorno d'inverno, quando le alture di Lipari sono spazzate dal forte vento di maestrale, padre e figlio si erano arrampicati sulla montagna per guardare i Faraglioni, avvolti  dalla schiuma delle onde, e discutere, nientemeno, se davvero fossero le "Rupi erranti" a cui Ulisse si riferiva  nell'Odissea. È l'ultima sua immagine che mi è rimasta: un uomo in lotta con gli elementi, con la sua memoria e la sua stessa natura, e con il solo ausilio del coraggio e di una testardaggine tutta siciliana.

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