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mercoledì 28 agosto 2013

D’Alia: “Nessun precario perderà il lavoro nella P.A. in Sicilia”

L’intervista rilasciata dal ministro D’Alia a Lillo Miceli del quotidiano La Sicilia.
«Fino a quando non saranno messe a punto tutte le procedure, a cominciare dal censimento per individuarne numero e professionalità, nessuno dei precari della pubblica amministrazione, che in Sicilia sono concentrati soprattutto negli enti locali (circa ventimila), perderà il posto di lavoro». E’ quanto sostiene il ministro della Funzione pubblica, D’Alia, che dopo avere presentato il suo provvedimento in Consiglio dei ministri, spiega le ricadute che la nuova normativa può avere in Sicilia dove la Regione, grazie al suo Statuto speciale, ha la possibilità di effettuare delle modifiche.
Ministro, il suo decreto legge prevede una riserva del 50% per i precari della pubblica amministrazione. In Sicilia sarebbero circa 10.000 a rimanere senza lavoro.
«Abbiamo condizionato la normativa a un rigoroso censimento dei precari che sarebbero circa 120mila nella pubblica amministrazione italiana, oltre quelli della scuola. Nella stessa pubblica amministrazione non tutti i precari sono equiparabili. Per esempio, i vigili del fuoco non sono uguali a quelli che svolgono le proprie mansioni in un ufficio. Le norme che abbiamo presentato sono di carattere generale e rispettose della Costituzione».
E secondo l’art. 97 della Carta Costituzionale necessita un concorso per accedere ai ruoli della pubblica amministrazione.
«Nel rispetto di questo principio, nei prossimi tre anni le pubbliche amministrazioni che dovranno bandire concorsi per assumere nuovo personale, dovranno lasciare il 50% dei posti ai precari che hanno maturato alcuni requisiti». «Per le qualifiche più basse c’ è l’ obbligo di collocamento obbligatorio, sem pre secondo la Costituzione, ma che prescinde dai concorsi e della riserva dei precari».
Tra i precari non ci sono solo laureati e diplomati, ma anche lavoratori in possesso solo del diploma della scuola dell’obbligo.
«Per le qualifiche più basse c’è l’obbligo di collocamento obbligatorio, sempre secondo la Costituzione, ma che prescinde dai concorsi e dalla riserva dei precari».
In Sicilia, però, non pensa che tutto ciò rischia di non bastare?
«Intanto, la precedente legge Brunetta per i precari prevedeva una riserva del 40% dei posti disponibili, che noi abbiamo elevato al 50%. Poi, le singole Regioni potranno articolare al meglio questa disciplina. Ciò che non possiamo fare è trasformare i contratti a tempo determinato a contratti a tempo indeterminato, senza una selezione concorsuale. Il problema è che Regioni e Comuni non ci trasmettono i dati sul censimento dei precari. Non possiamo immettere in ruolo gente con soli sei mesi di precariato».
Da ogni settore politico sono arrivate critiche al suo decreto legge.
«Chi ha ingrossato nel tempo il numero dei precari, sia egli di destra, centro o sinistra, non credo abbia titolo per parlare. Lo ripeto: bisogna vedere come e quanti sono i precari e gli enti dovranno fare una previsione triennale. In base a questi dati, poi, il 50% sarà riservato ai precari. In questo momento non sappiamo quanti precari lavorano magari da 18 anni nella pubblica amministrazione e quanti da due anni. Solo dopo potremo apportare eventuali modifiche alla normativa».
Il suo ragionamento è chiaro, ma si metta anche nei panni di chi, dopo decenni, rischia di rimanere con un pugno di mosche in mano.
«Vorrei ricordare che come governo Letta, appena insediati abbiamo approvato la proroga dei contratti fino al 31 dicembre. Fino a quando non saranno concluse le procedure, nessuno andrà a casa».
Alla Regione siciliana i precari della pubblica amministrazione costano circa trecento milioni l’anno. In alcuni casi svolgono ruoli essenziali, come vigili urbani o negli uffici tecnici.
«La normativa consente alla Regione Siciliana che, tra l’ altro, è a Statuto speciale, di prevedere fattispecie diverse con la relativa copertura finanziaria».
Per le qualifiche più basse bisogna sempre rispettare il limite del 50%?
«No, per le categorie a chiamata obbligatoria, non c’ è alcun limite. Per esempio, se un Comune deve assumere sei bidelli può attingere a quel bacino di precariato per tutte le unità necessarie».

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