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giovedì 13 settembre 2012

Vartuluzzo Ruggiero e la canzone popolare eoliana (di Michele Giacomantonio)


Intervento di Michele Giacomantonio all’incontro”In memoria di Bartoluzzo Ruggiero” tenutosi nella Chiesa dell’Immacolatamercoledì 12 settembre 2012 in occasione della presentazione del fotolibro “Bartoluzzo. Una traccia sul mare Eoliano”
Vartuluzzo Ruggiero è stato certamente un importante esponente, forse uno dei maggiori, della canzone popolare eoliana. Diciamo questo  sapendo che è difficile fare raffronti con artisti di epoche lontane anche solo poche decine di anni visto la scarsezza della documentazione scritta e canora, per il passato.
Quella della canzone popolare eoliana è una tradizione le cui radici si perdono nel tempo ed è solo, ancora una volta, grazie a Luigi Salvatore d’Austria che possiamo fissare un punto di orientamento sul finire dell’800. Nell’ottavo volume della sua opera, quello dedicato alla parte generale, l’arciduca che amava le Eolie, parla di questi canti che “seguono un ritmo monotono… ma si ascoltano con piacere”.Li sente dalle donne che ramano sul mare, dai giovani che trasportano il mosto, dalle donne che raccolgono i fichi e che lavorano nei campi. L’argomento preferito, come è consuetudine della poesia popolare, è l’amore. Ma nella canzone popolare eoliana, nei canti riportati dall’Arciduca come in quelli di Vartuluzzu Ruggiero, l’amore per l’amata o l’amato si accompagnano o si alternano con l’amore per la propria terra.. Così l’arciduca scrive :
“Un ghiornu, bedda mia, mentre scrivìa
L’anima mia du pettu si staccò.
Ebbi un singhiuzzu e poi mentre chianìia,
a carta sutta l’l’uocchi si vagnò!”
Ma anche:
“Addiu Lipari mia, scuogghiu filici,
lassami arritirari ‘nta la paci,
su abbannunatu di parenti e amici,
pirciò si mi nni vaiu ‘un ti dispiaci!”
Sul finire dell’800 il canto veniva accompagnato con strumenti musicali a corde come il contrabbasso, il chitarrone, la chitarra francese, la chitarra da pizzicare, la chitarra battente e il violino. Diffusi anche i flauti e gli ottorini. Di queste canzoni Luigi Salvatore ci offre un ampio campionario. Si suonava e si cantava ai matrimoni, a carnevale, in occasione della gettata del”astricu” che era sempre una grande festa ed aveva un rituale tutto particolare.
A cavallo del secolo, fra l’800 e il 900, anche Lipari ebbe la sua “bella epoque”. Simbolo di questa stagione è il maestro Concetto Abate e la banda musicale diretta da Edoardo Bongiorno. Si suonava in pubblico in via Garibaldi, all’angolo con via Umberto I, dove allora vi era uno spiazzo un po’ più ampio di adesso. Non c’era palco ma solo una pedana per il maestro e al di sopra del corpo bandistico lo stagnino Giovanni Rodà montava una illuminazione primordiale fatta di tubi dove scorreva l’acetilene. Si suonava in pubblico ma anche nelle case private e nei circoli cittadini.
Gli anni del fascismo invece non lasciarono spazio alle tradizioni locali. Ai canti popolari si tentò di sostituire canzoni come Giovinezza, giovinezza, Allarmi siam fascisti, Faccetta nera.. La vena popolare si limitò a produrre i cosiddetti “muttetti” e cioè composizioni in versi di genere faceto, per lo più privi di risvolti sociali, anche per non cadere nelle mire delle autorità e della milizia. Di quel periodo ricordiamo Maniaci ad Acquacalda e Turiddu Giardina  a Lipari . La canzone popolare eoliana era mantenuta in vita da Giovanni Giardina detto“Vanni l’Uorbu”, perché da bambino era caduto in una vasca di calce ed era rimasto cieco, che si accompagnava con l’organetto. Vanni veniva invitato ai pranzi ed alle feste delle famiglie benestanti che lo ricompensavano per lo più con qualche portata del pranzo.
Chiuso il periodo fascista, nell’immediato dopoguerra riprende la canzone popolare ed emerge la figura di Angelo Villanti barbiere, cantante e suonatore. Era detto il cantore della fame che allora era una esperienza molto diffusa fra la gente e proprio della fame parlava in una sua canzone famosa intitolata “Carrube” che si concludeva col desiderio di morire perché nell’aldilà non c’è più bisogno di mangiare:
“Iò vi lassu e mi ni vaiu,
‘nta du munnu ca ‘un si mancia;
e cu resta ca s’arrancia
finu a quannu ‘un veni dà”
Il dopoguerra fu un periodo fertile di associazioni culturali, circoli ricreativi e filodrammatiche. Fra le altre si ricorda l’associazione studentesca “5S” (Siamo studenti sempre senza soldi). Villanti rimase a Lipari anche quando tutti i suoi figli emigrarono, poi nel 1958 emigrò anche lui a Melbourne dove nel 1963 morì.
Gli anni 50 sono gli anni che Pino Paino definisce della “diaspora”. Sono molti i giovani che fuggono dalle Eolie e con essi molti talenti. Solo nel 1973 si ha un forte segnale di ripresa con la nascita del “FolkArte delle Eolie” promosso da Angelo Merlino, Italo Paino, Pino Paino, Nino Sulfaro e Bartolino Ruggiero. Vartuluzzo ne diventa il direttore del gruppo folkloristico. Questo gruppo non ha vita facile  perché deve fare i conti con l’indifferenza e forse anche l’ostilità della amministrazione locale che tenta di privarli anche della sede. Eppure la sua attività si mostrò intensa e con larghi consensi. Si esibirono in cerimonie pubbliche come quella in Vescovado per l’ingresso in diocesi di Mons. Di Salvo, al Carasco durante il congresso nazionale di neurologia, nelle saghe paesane di  a cominciare dalla festa di S. Bartolo a Lipari, poi a Canneto, Acquacalda, Quattropani, Pianoconte, nei dancing come il Turmalin prima che le bande musicali locali venissero soppiantate dalle discoteche.
Leonida Bongiorno notava sul Notiziario del gennaio 1974 che “le musiche, le danze, i canti, quasi tutte creazione del Folk e in particolare dell’inesauribile Bartoluzzo hanno ridato alle Eolie una dimensione da tempo smarrita. E’ rinata una tradizione popolare che sembrava destinata a scomparire definitivamente”.
Fra le canzoni della tradizione eoliana che , accompagnava con la musica del suo inseparabile mandolino, Vartuluzzu riprende  e riformula vi è “A ittata i l’astricu”. Di quella antica riprende il ritornello:
“Li cummari, cummarieddi,
tutti arrivanu chi cistieddi,
chini i pani, cassatieddi,
sfinci fritti, spicchitieddi.
Oh c’arriva, oh c’assuma
Oh chi ciauru i maccarruna”
In Vartuluzzu non manca la tradizione della canzone d’amore. Ricordiamo “Anciulinedda”:
Anciulinedda mia si com’ on sciuri,
bedda di modi e bedda di culuri,
‘nta la to faccia si cum‘a ‘na rosa,
ti amerei i sempri cum’a ‘na sposa”.
E non mancano le canzoni che esprimono l’amore per la sua terra come Ierà, Stromboli, Turisti i tuttu u munnu. Di quest’ultima ricordiamo la sestina iniziale:
“Turisti i tuttu u munnu
v’ospitamu,
a Lipari c’è sciuru di zagara.
Muntagni janchi e beddi
Puru avemu,
ginestra gialla e sciuri in quantità”. 
Non mancano però le canzoni dedicate  al lavoro come “U cianciuolo” che parla di Bastianu il pescatore:
“Passa la luna veni lu scuru,
Bastianu pripara la rizza, a lampara,
Li marinari cu birrittieddu,
pani, formaggi, buttigghia e cutieddu.
Sunnu cuntenti,
vannu a piscari,,,
e lu cianciuolu…
lu ettano a mari.”
E non manca nemmeno la canzone epica dedicata alla “ruina” del 1545 compiuta da Ariadeno detto il Barbarossa.
“Nove mila l’abitanti,
si purtaru tutti quanti,
li trattaru cumu schiavi,
‘bannunati e morti i fami.
Arrivati ‘nta du munnu,
si truvaru spaisati,
nni murieru tanti, tanti,
Liparuoti ammazzati”.
L’attività del FolkArte delle Isole Eolie, come quella del Piccolo Teatro Eoliano che da questa era stato generato, durarono due anni e poi si esaurirono. Il Folk cercò di rivivere qualche tempo dopo ad opera di Zitelli e di Sparacino ma ormai il nucleo si era disgregato. Vartoluzzo continuava la sua strada sempre più richiesto non solo negli incontri nelle isole ma anche all’estero dagli isolani dell’emigrazione. Andò in Australia, Germania, in America. Memorabile rimane – come ha ricordato recentemente Felice D’Ambra -  una sua esibizione a New York durante un matrimonio col suo violino nell’esecuzione dell’Ave Maria di Shubert.. Alle Eolie intanto, anche sulla sua scia altri cantautori si facevano strada come i fratelli Angelo e Benito Merlino che si affermerà soprattutto in Francia dove andrà a vivere.
Di Bartoluzzo rimangono oltre al ricordo della sua passione e del suo sorriso, la sua musica e le numerose canzoni che ci ha lasciato in eredità.

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