Ventisei mesi di reclusione e pagamento delle spese processuali. Questa la sentenza emessa dal giudice della sezione staccata del tribunale di Lipari Roberto Gurini (pm Olindo Canali) nei confronti del dott. Vincenzo (Enzo) D'Ambra, ex imprenditore del settore pomicifero.
Condannati a 18 mesi e al pagamento delle spese processuali il capo-squadra Pumex Enrico Lo Monaco, 40 anni, e il dipendente Eugenio Saltalamacchia, 64 anni. Per tutti pena sospesa.
Sono stati invece assolti perchè il fatto non sussiste, Giuseppina D'Ambra, 66 anni, Antonio Taviano Giuffrida, 73 anni, e Romeo Palamara, 55 anni, di Lipari, componenti del consiglio di amministrazione della Pumex. Assoluzione anche per il direttore tecnico di cava e di stabilimento della "Pumex" Francesco Galvagno (per lui il pm aveva chiesto la condanna a 2 anni di reclusione)
D'Ambra, Lo Monaco e Saltalamacchia sono stati anche condannati al risarcimento del danno ambientale e del danno di immagine in favore del comune di Lipari da liquidarsi in separata sede. Sono stati anche condannati a pagare al comune di Lipari e al WWF, costituitisi parte civile, 2300 euro.
Il pubblico ministero Olindo Canali, che assieme al collega Francesco Massara aveva svolto le indagini, aveva chiesto per D'Ambra la condanna a 3 anni e 6 mesi di reclusione e 400 euro di multa.
Le accuse per le quali gli imputati sono stati processati sono quelle di violazione delle leggi sulla tutela ambientale, in particolare l'articolo 181 comma I bis della legge 42/2004 e in rapida sequenza delle accuse di furto aggravato ai danni dello Stato, art. 624 e 625 del codice penale. Seguono nelle originarie contestazioni mosse agli indagati dai due magistrati inquirenti i reati di invasione e occupazione di terreni al fine di trarne profitto, art. 633; deturpamento di beni immobili art. 639 e distruzione e deterioramento di bellezze naturali, art. 734 del codice penale. L'inchiesta che ha portato alla richiesta di citazione in giudizio da parte della Procura di Barcellona è stata resa nota il 31 agosto del 2008 con il clamoroso sequestro giudiziario delle cave di pomice e delle aree circostanti su cui venivano stivati scarti di lavorazione industriale, residui di lapilli e inerti, oltre a materiali ferrosi.
Il sequestro era stato disposto perché la Pumex stava effettuando «attività estrattiva abusiva di pietra pomice nell'area dell'ex cava di Porticello e la susseguente modifica morfologica della stessa area». Sarebbe inoltre stata riscontrata dalla magistratura l'assenza di una «prescritta autorizzazione» all'attività estrattiva, la distruzione o deterioramento di bellezze naturali, l'abbandono e il deposito incontrollato dello scarto dell'attività estrattiva abusiva depositata in località Punta Castagna.
Per le contestazioni di furto aggravato l'autorità giudiziaria ha rilevato che tra il 20 gennaio e il 24 luglio 2007 la Pumex si impossessava di rilevante quantità di pietra pomice di proprietà demaniale, «tramite attività di escavazione abusiva».
Per la Procura, nonostante il blocco decretato dalla Regione, nell'area si sarebbe proseguito nell'attività estrattiva, mentre invece era stata dichiarata dall'azienda in via esclusiva la lavorazione delle cosiddette scorte di lapillo e altro materiale per circa 70-80 mila metri cubi.