(Lino Natoli)Dalle nostre parti parliamo spesso di cultura, quasi mai la pratichiamo. Ci vantiamo di una storia che risale a circa settemila anni fa, raramente la conosciamo. Invochiamo con frequenza la cultura eoliana, ma non sappiamo bene di cosa si tratti. Forse facciamo riferimento alle decine di libri di autori locali (talvolta pseudo-locali) che ogni anno vengono pubblicati e presentati presso confortevoli giardini ma regolarmente mai letti. Stessa cosa si potrebbe dire per altre forme di espressione artistica molto esibite e poco frequentate. Nell'ampia area della cultura autoctona facciamo rientrare l'architettura eoliana, pressocchè del tutto distrutta; la cucina eoliana, della quale si hanno rari esempi e qualche macchiettistica testimonianza (tranquilli: non voglio ritirare fuori la storia dei sassi bolliti); l'ospitalità eoliana, ormai relegata nella categoria del mito dai fatti di cui siamo tutti testimoni durante il periodo estivo. Insomma, per non farla tanto lunga, ci rivoltiamo nella nostra stessa cultura come fanno certi animali i quali, però, non se ne vantano.
La premessa nasce dal riascolto di una celebre espressione di Pasolini che distingueva nettamente il progresso dallo sviluppo. Vi può essere, infatti, progresso senza sviluppo. Osservando quanto è avvenuto durante la festa di San Bartolo sarebbe facile parlare di sottosviluppo, ma questa è un'altra storia. Attenzione però, non secondaria e neppure banale. Perchè sono stati giorni in cui si è avuta l'impressione che tutto fosse andato fuori controllo. L'ambiente esotico da Africa degli inizi del novecento è stato così ben riprodotto da sembrare vero, anche negli eccessi più violenti.
Pasolini metteva in guardia dal non identificare il progresso con lo sviluppo, anzi smascherava certo progresso portatore di sottosviluppo. Una lezione abbondantemente nota che non riusciamo a comprendere. In nome del progresso abbiamo distrutto alcune tra le più belle e suggestive aree del nostro territorio, cancellato tracce nobili della nostra autentica storia e cultura, sacrificato tutte le spiagge esistenti a Lipari da Portinente a Pignataro, massacrato il centro storico, offeso le più belle aree panoramiche dell'isola. Ma non siamo sazi. Non ancora. La bulimia di progresso, unita all'incapacità di programmare lo sviluppo e di proteggere il territorio, ha portato a credere (e questa volta non uso di proposito la prima persona plurale) che tutta l'organizzazione del turismo potesse risolversi con la costruzione di un numero sconsiderato di strutture ricettive, indipendenti dall'analisi dei flussi turistici, slegate persino si direbbe ostili alla contemporanea crescita tecnico-professionale e culturale in ambito propriamente turistico. Ne consegue che di fronte ai problemi procurati da un progresso senza sviluppo, si invochi ulteriore progresso da sottosviluppo. Dunque si accarezzano terrificanti sogni di megaporti e aeroporti che segnerebbero la fine di quest'isola, della sua pretesa tipicità, condannandola al degrado perenne. Tuttavia questa visione perversa dello sviluppo che non immagina il futuro, non lo anticipa, non si cura del territorio, non valorizza le risorse, dilapida, sfrutta, consuma, divora, corrode, corrompe il valore della socialità e il senso del bene comune, illude l'individualismo, disprezza l'affermazione ed il rispetto delle regole comuni, trasforma l'amicizia in comparaggio, il diritto in favore, il favore in obbligo non è solo di certa politica. Non è prerogativa esclusiva di chi ha o ha avuto responsabilità politiche. Infatti tutto questo è entrato pericolosamente nella nostra cultura, nel nostro modo di pensare. Soprattutto è diventato parte della visione delle cosiddette classi dirigenti che dovrebbero assumersi la responsabilità di guardare al futuro di queste isole. Mi riferisco non solo ai cosiddetti politici, ma anche e soprattutto agli imprenditori che hanno fatto ingenti investimenti nel turismo, a coloro che si occupano di cultura (ci risiamo), a quelli che scrivono, educano, insegnano. Se non creiamo sviluppo non avremo progresso. E non è detto che questo non significhi sacrificare certo progresso. Questa mi pare la vera sfida culturale dei prossimi anni, forse ci arriviamo con troppo ritardo, ma non vedo altre alternative. Una sfida che assume connotati politici evidentissimi, ma è la storia di questi ultimi dieci anni che richiama tutti alle proprie responsabilità. Una ubriacatura di ignavia e d'indolenza che ha lasciato umiliare queste isole esponendole a tutti i rischi, non ultimo quello del ridicolo. Perchè vantarsi di ciò che si vorrebbe essere, di ciò che si dovrebbe essere, di ciò che si potrebbe essere e non si è può suscitare la divertita compassione dei graditi ospiti di confortevoli giardini che assitono alle esibizioni culturali di una cultura che semplicemente non esiste.
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