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In un periodo in cui la spesa pubblica è
severamente vincolata in tutta Europa è sconfortante constatare che di
tutti i fondi strutturali assegnati dalla Commissione europea ai 27
Stati membri per il periodo 2007-2013 (308 miliardi di euro a prezzi
2004), la frazione spesa a tre anni dalla scadenza sia soltanto il 14%
(relazione Barca alle Camere, 6 dicembre 2011).
C'è ampio
consenso sul fatto che il problema stia nell'eccessiva complessità della
governance della politica regionale della Ue, e si sta infatti cercando
di semplificarla. I dati, dietro la media aggregata, mostrano purtroppo
che le cose vanno peggio dove dei fondi c'è più bisogno: per esempio,
la Germania ha speso il 21% delle risorse assegnate, l'Italia (con il
suo Mezzogiorno) ha speso il 7,4 per cento.
Alla radice di questo
effetto patologico sembra esserci il fatto che l'implementazione delle
direttive europee sia largamente lasciata nelle mani dei governi
regionali all'interno degli Stati membri, che sono meno efficienti nelle
aree più deboli (proprio per questo il ministro Barca nei giorni scorsi
a Palermo ha istituito un canale permanente di supporto alle
amministrazioni locali). Si sta dunque andando verso la riduzione del
range di obiettivi europei a un numero limitato di priorità essenziali,
rinforzando allo stesso tempo il ruolo delle autorità centrali. La
questione è come rinforzare questo ruolo.
La risposta non può
essere che basterà fare qualche cambiamento marginale, perché ciò
contraddirebbe il focus sulle priorità core. Invero, se l'idea è di
mettersi d'accordo su poche specifiche cose importanti da fare e farle
bene, allora lo scopo dell'attuale sistema, basato su variegate
interpretazioni locali di generiche linee guida diramate dal centro,
risulta sostanzialmente ridotto.
Per vedere dove la macchina si
inceppa e cosa si può fare per migliorarla vale la pena ricordare il
meccanismo del sistema e il suo fondamento teorico.
La politica
regionale europea è place-based: l'idea è che la fornitura di beni e
servizi pubblici debba rispondere agli obiettivi generali fissati dal
governo centrale europeo, ma debba anche essere adattata ai contesti
specifici delle varie regioni, dove i governi locali possano
implementare questi obiettivi tenendo conto delle esigenze locali,
elicitando e aggregando preferenze e bisogni sulla base di informazioni
sul contesto che al centro potrebbero mancare. Per realizzare questo
duplice fine, i due livelli di governo condividono la responsabilità
nelle decisioni sui beni e servizi in questione.
In pratica, per
ognuno dei quattro grandi fondi strutturali, la procedura prevede che la
Commissione Ue delinea gli obiettivi generali in un documento rivolto
ai 27 Stati membri; ogni Stato membro elabora su quel documento e
dichiara come intende perseguire quegli obiettivi in considerazione del
contesto del Paese, e sottopone le sue risoluzioni alla Commissione per
discussione e approvazione; dopo l'approvazione il processo ricomincia
all'interno di ogni Stato: ogni Regione (in totale 97) elabora sugli
obiettivi nazionali un po' meno generali e sottopone i propri
intendimenti al governo nazionale; i governi nazionali discutono quindi i
programmi regionali, li approvano, e dopodiché rispediscono tutto a
Bruxelles per la ratifica definitiva. A questo punto comincia l'azione
concreta, e quest'ultimo passaggio è delegato interamente alle
amministrazioni regionali: per implementare i loro programmi, per ognuno
degli obiettivi approvati le Regioni promulgano le regole (i bandi) che
le domande devono osservare per ottenere il supporto finanziario dalla
Ue. Quando i fondi sono erogati, i progetti selezionati possono infine
partire.
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