Le isole Eolie fanno parte del mio vissuto e del mio immaginario. A 13 anni, sul set di un film a me familiare (Kaos), fui scelta per la parte di una ragazzina isolana, che, su una grande tartana dalla vela rossa, attraversava, con la madre e i fratellini più piccoli, le acque di Lipari per raggiungere il padre in esilio a Malta. Ad accompagnarci, un barcaiolo dell’isola, detto “Figlio d’oro”. In quel viaggio con la tartana rossa rivivevamo lo stesso cammino doloroso delle popolazioni costrette a lasciare le proprie case e i propri affetti per cercare fortuna altrove. A un certo punto, però, il barcaiolo ci proponeva una sosta alle spiagge bianche di Lipari, all’isolotto della pomice; e qui, all’improvviso, quel mare e quel cielo ci offrivano, inaspettato, l’incontro con la felicità. Eravamo bambini perseguitati, spaventati, in fuga; eppure scoprivamo che la pomice era soffice come un letto che protegge e il mare accudente ed amico. Cullati dall’aria di Mozart, nelle nostre larghe vesti bianche, piombavamo giù dall’alto verso l’azzurro del mare. Così si chiudeva il film e così si chiudeva la nostra infanzia.
Dopo più di venti anni ho ritrovato Figlio d’oro e gli ho chiesto di accompagnarmi in questo mio nuovo viaggio, con la stessa tartana dalla vela rossa. E’ lui il protagonista del documentario; una sorta di Virgilio delle isole; trait d’union tra il mio occhio e il vissuto degli abitanti, che mi raccontano le loro fughe e le loro disillusioni, spesso in sintonia con quelle dei film.
“Personaggio” e, ad un tempo, narratore, è Figlio d’oro a condurmi dentro le cave di pomice, a mostrarmi il castello dei forzati dell’Ottocento e dei confinati antifascisti, a parlare con la gente del posto, raccontando le leggende che la nonna gli narrava da piccolo.
Giovanna Taviani