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giovedì 27 agosto 2009

Acquacalda e la protezione dell'abitato. Fatti e misfatti per 800 mila euro "buttati a mare"

(Michele Giacomantonio)I lavori per la difesa dell’abitato di Acquacalda sono ormai fermi da diversi mesi e gli abitanti di questa frazione, residenti e villeggianti che hanno acquistato lì la casa delle vacanze, guardano con forte preoccupazione l’approssimarsi dell’inverno quando i venti del nord scatenano forti tempeste che spazzano la spiaggia di Acqucalda spesso con violenza inaudita. Il progetto prevedeva che si dovessero realizzare trecento metri di protezione all’altezza di San Gaetano. Ma attualmente il lavori non hanno investito più di cinquanta metri del litorale disseminandolo di ciottoli e grandi massi che rischiano, sospinti dai marosi, di trasformarsi in proiettili che potrebbero abbattersi oltre che sulla strada anche sulle abitazioni.
Per questo la gente ha paura: i residenti che si sono riuniti nella Associazione chiamata CASTA ed i villeggianti che hanno dato vita alla associazione “Amici di Acquacalda” di cui presidente è il dott. Marco Saltalamacchia.
Gli Amici di Acquacalda hanno dato incarico ad un avvocato anch’egli proprietario di una bella villetta sul litorale, Arturo Soffitta di Como, di seguire la vicenda diffidando sia la Ditta sia il Comune a riprendere al più presto i lavori. Abbiamo ascoltato l’avv. Soffitta e vorremmo sottolineare alcuni fatti che ci lasciano fortemente perplessi. La gara è stata vinta da una associazione di imprese con a capo la Ciro Menotti che è una importante società esperta nelle opere a mare. La Ciro Menotti ha affidato i lavori di Acquacalda ad una consociata di Catania forse meno esperta nel settore. Comunque non è questo il problema. Il problema è che il 16 luglio del 2008, cioè l’anno scorso, il consorzio presenta una variante sostenendo che in seguito al sequestro della cave di pomice, siccome il capitolato prevedeva che si dovessero prelevare massi ed altri materiali da luoghi divenuti indisponibili, i costi e le spese sono di molto lievitati e con le somme disponibili i lavori avrebbero riguardato non più 300 metri di costa ma solo 150. Il Comune ha accettato la variante ma in seguito ad essa sono sorti dei contenziosi con la ditta che ha sospeso i lavori rivendicando il pagamento del primo e del secondo stato di avanzamento dei lavori pari a più di 800 mila euro. Pagamento che il Comune ha effettuato ma che la società ha giudicato insufficiente, imputando spese e costi aggiuntivi. Per questo i lavori si sono fermati.
Ciò che ci sorprende fortemente è che la variante sostiene che il sequestro delle cave di pomice ha creato il fatto nuovo che ha mutato il calcolo dei costi. Ma come è possibile se il sequestro della cave risale al 2007 mentre il contratto è stato sottoscritto nel marzo del 2008 e nel contratto la ditta aveva dichiarato di aver preso visione dello stato dei luoghi e delle situazione delle cave ? La variante quindi si fonda su un falso? Ma perché il Comune non l’ha rilevato ed ha accettato la variante? Ma non è questo il solo problema che emerge. Il contratto prevede una clausola che da al Comune il potere di rescissione qualora la ditta richieda un aumento dei costi superiore al 20 per cento. Qui addirittura l’aumento è stato del 50% dimezzando l’opera da realizzare. Perché il Comune non ha fatto scattare questa clausola cercando quindi un nuovo interlocutore a cui affidare l’opera? Ed ora che succede? La ditta reclama 800 mila euro e rotti per quel lavoro fatto e intende scomputarli dall’anticipazione fatta dal Comune. Ma si tratta di lavori che se non vengono completati alle prime mareggiate verranno portati via anche ammesso che non vi siano danni alle case ed alle persone. 800 mila euro buttati a mare.