(Nando Dalla Chiesa) Si è appena calmato, Iddu, forse è stanco. "Iddu" nella lingua di popolo è lui, il vulcano. La divinità di Stromboli, l'unico vulcano italiano che osi lanciare fiamme verso il cielo tutti i giorni. Ma ricomincerà presto, credo. Sta tirando botti da giorni e giorni. Non dorme nemmeno di notte. Come un ossesso imprigionato. Botti tonanti, perfino squassanti. A volte i turisti novelli li scambiano per l'inizio di un temporale, altre volte per il preavviso di un terremoto. E l'altro giorno, all'ultimo in crescendo di una sequenza di botti, ho davvero sentito spingersi in su lo scoglio su cui mi ero seduto in contemplazione.
Come tutto ciò che in natura, girando un po' la manopola, può generare catastrofi, le eruzioni dello Stromboli hanno in sé il senso estremo della poesia. Le aspetti paziente di notte, nel cielo senza luna, quando il grigio del fumo cede ai bagliori rossastri: sembrano fuochi d'artificio pazzi allestiti per incantare i turisti, per lasciarli a bocca aperta come i pastori delle meraviglie. Oppure le vedi mentre fai il bagno in mare e allora pensi, quando le pareti del vulcano tremano, che potresti anche restare risucchiato da un'onda anomala come quella di sei anni fa. Solo che lo pensi sempre dopo, prima resti affascinato da quella nuvola che si fa spessa e scura mentre tutto, intorno, è abbacinante e cristallino. Altre volte le vedi al primo imbrunire, quando magari una sottile e pallida falce di luna si ferma accanto o poco sopra il cono grigio rovesciato e la terra rimanda nell'aria il profumo della lava; rito, questo, che si celebra solo mezz'ora dopo il tramonto.
Dà spettacolo generoso ai ragazzini, Iddu. Loro arrivano la sera con le famiglie o in gruppo autonomo e chiassoso su all'osservatorio. Chi sudato e impolverato, dopo essersi sanamente inerpicato per sentieri insani che una mulattiera sembra un'autostrada, ma che a quasi ogni curva aprono su scenari di favola. Chi, invece, rilassato e senza una stilla di sudore, da perfetto figlio dei tempi: perché giunto stravaccato a bordo di sedicenti taxi, che sono in realtà api inquinanti e spetazzanti gas per una scia di centinaia di metri. Di là il fumo del vulcano, di qua il fumo dell'uomo. Quando tutti sono seduti intorno alle pizze o ai totani arrosto, Iddu restituisce il prezzo del biglietto. Lancia un fiotto di fuoco dietro l'altro verso la via Lattea, tutti fanno "ohh", c'è chi fotografa, ma c'è anche chi non ci riesce. Perché Iddu pretende rispetto. Se vai lì a vederlo, mica gli puoi voltare le spalle per una volgarissima pizza. E dunque non ti preavverte quasi mai, il tuono arriva dopo. C'è, è vero, quell' "ohh" collettivo che ti aiuta comunque a voltarti in tempo, ma per fotografare stai più attento baby.
Quando poi è mezzanotte passata i ragazzi scendono verso il paese. E allora chi va a piedi ingoia veleno a ogni passo, maledicendo l'altro fumo di Stromboli, quello dei taxi. Il fumo dei coetanei che non vogliono camminare. Che amano andare in taxi a vedere la poesia. Cacchio volete, io pago, datemi il vulcano.