Per Sergio D’Antoni, componente della segreteria Pd si tratta di “un risultato ottimo, che premia la linea del segretario siciliano del Pd, Giuseppe Lupo. L’abbassamento dei candidati esterni da 11 a 5 e il pieno rispetto dei risultati delle primarie, conferma l’ottimo lavoro svolto da Lupo e rinforza la sensibilita’ del partito nei confronti della rappresentanza e del consenso sul territorio. Una scelta importante, che valorizza anche il prestigio e l’autorevolezza dei nomi scelti dalla segreteria nazionale” conclude.
Il Porcellum non perdona: se sei al terzo posto invece che al quarto varchi la soglia di Montecitorio o Palazzo Madama. Non basta stare dentro, bisogna starci bene. E ne sa qualcosa proprio D’Antoni, che alle primarie è arrivato ottavo e quindi la sua partecipazione in lista avrebbe un valore decoubertiniano. L’importante non è partecipare, ma essere eletti e D’Antoni, ex segretario nazionale della Cisl, una carriera luminosa alle spalle, non può permettersi un flop.
Non è l’unico. Prendiamo il caso di Carlo Vizzini, otto legislature alle spalle, cominciò che non aveva ancora fatto il dente del giudizio ed è ancora nel mazzo, sponsorizzato dai socialisti di Nencini, che non hanno di meglio in Sicilia. Quelli che hanno partecipato alle primarie ed ottenuto un buon risultato non sanno farsi una ragione: i paracadutati da Roma vanificano il loro successo. Una ingiustizia, dicono. Hanno ragione, fino a un certo punto, perché quel dieci per cento che la segreteria nazionale Pd si sarebbe riservata non è certo una novità. Dovrebbero puntare sulla qualità di coloro che ottengono il paracadute, ma a quanto pare questo è un discorso difficile da fare.
Se i nomi sono indiscutibili, la lista ne guadagna, migliore l’immagine con una ricaduta sui consensi, ma se si tratta di accontentare i dinosauri è un’altra storia. In più, la Sicilia non subisce l’immigrazione elettorale, la alimenta: Claudio Fava (Sel) si candida nel Nord, Anna Finocchiaro in Puglia e Piero Grasso in Calabria.
Non è solo una questione di nomi. Ci sono le diavolerie del Porcellum da affrontare: proporre una lista non coalizzata al Senato pretende l’8 per cento, se invece è coalizzata basta il due per cento ed in qualche caso anche meno se si tratta del miglior perdente. Un meccanismo farraginoso, che viene studiato attentamente dai partiti. Sono valutazioni che vengono aggiornate alla luce degli eventi che sopravvengono. Cantiere popolare potrebbe scendere in campo, tanto per dire, con una lista coalizzata al Senato e non alla Camera. Rivoluzione civile di Antonio Ingroia, non essendo coalizzata, propenderebbe per una lista alla Camera ma non al Senato. Gli arancioni avrebbero qualche difficoltà a reperire candidati al Senato, perché l’obiettivo dell’8 per cento è proibitivo.
Siccome l’assenza della lista al Senato potrebbe avvantaggiare il centrosinistra (o i grillini), può diventare merce di scambio. Come? Proponendo la desistenza, un gesto politico “contrattabile”.
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