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martedì 27 novembre 2012

Oggi, V° Anniversario dal decesso di Bartoluzzo Ruggiero. Il nostro ricordo


Oggi ricorre il V° anno dal decesso del maestro Bartoluzzo Ruggiero. 
Per tutta la giornata abbiamo pensato al modo di ricordarlo ai nostri lettori ma ogni idea ci sembrava poco... troppo poco per descrivere un personaggio unico.
Allora, questo direttore, ha deciso di ripubblicare questo articolo, partito il 28 novembre di cinque anni fa.... non appena appresa la notizia della dipartita del maestro. Un articolo che, anche oggi, a distanza di tempo, sembra attuale, il "giusto" scrivere per un uomo, un artista.
CIAO BARTOLUZZO! DA IERI UN MANDOLINO SUONA IN CIELO
Da ieri sera un mandolino suona negli immensi spazi del cielo. A suonarlo, con la maestria di sempre, è Bartoluzzo Ruggiero.
Bartoluzzo che, per chi crede, ha concluso il suo viaggio terreno. La terra, l’arcipelago più nello specifico, ha perso un personaggio sicuramente unico. Unico dal punto di vista umano e professionale, unico nell’affrontare la vita e quanto questa nel bene e nel male riesce a dare.
Bartoluzzo è stato uno dei personaggi di queste isole. Con il suo mandolino e le sue canzoni è stato l’ambasciatore(non sempre ripagato come avrebbe meritato) dell’eolianità e dell’orgoglio di esserlo in Italia e all’estero.
Dall’età di 14 anni quando ha imparato a fare “cantare” il mandolino non ha mai smesso di suonare. Ha suonato per tutti e dappertutto: per la povera gente e per i personaggi famosi; nelle feste di piazza alle grandi platee; dalla piccola Alicudi all’immensa Australia.
Un piccolo grande uomo che ha lasciato il segno del suo passaggio.
E oggi nel ricordarlo, e stringermi affettuosamente attorno ai figli, alla moglie e ai parenti, voglio farlo con un brano tratto da “Fahrenheit 451”, romanzo di fantascienza scritto dall’americano Ray Bradbury.
Ognuno deve lasciarsi qualcosa dietro, quando muore
Ognuno deve lasciarsi qualcosa dietro quando muore,
diceva sempre mio nonno: un bimbo o un libro o un
quadro o una casa o un muro eretto con le proprie mani
o un paio di scarpe cucite da noi. O un giardiano piantato col nostro sudore.
Qualche cosa insomma che la nostra mano abbia toccato, in modo che la nostra anima abbia dove andare quando moriamo, e quando la gente guarderà l’albero o il fiore che abbiamo piantato noi saremo là.
Non ha importanza quello che si fa, diceva mio nonno, purchè si cambi qualche cosa da ciò che era prima in qualcos’altro che porti poi la nostra impronta.
La differenza tra l’uomo che si limita a tosare un prato e un vero giardiniere sta nel tocco, diceva. Quello che sega il fieno potevaanche non esserci stato, su quel prato: ma il vero giardiniere vi resterà per tutta la vita.
CIAO BARTOLUZZO E GRAZIE

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