(Gazzetta del sud- Peppe Paino) Gli aliscafi non partono e gli eoliani si piazzano in mezzo alla strada, fuori dall'agenzia Siremar. È accaduto ieri pomeriggio intorno alle 16 quando alcuni isolani si sono sentiti rispondere dagli addetti dell'agenzia che il comandante non sarebbe partito per le cattive condizioni meteo-marine. Man mano che arrivavano gli altri si è quindi creato un folto gruppo di "protesta", proprio in mezzo alla carreggiata. Gli eoliani protestavano perché ritenevano ci fossero le condizioni per effettuare il viaggio, nonostante il forte vento di scirocco che finisce poi col condizionare gli approdi nei moli eoliani. Sono intervenute di conseguenza pattuglie della polizia di Stato e dei carabinieri, che hanno esortato gli improvvisati manifestanti a sgomberare l'arteria stradale. Dopo oltre un'ora, comunque, il gruppo , nell'ultima speranza affidata alla società NGI dell'armatore Sergio La Cava, per l'eventuale partenza del traghetto, ha finalmente interrotto l'occupazione della strada ad alto traffico veicolare. Mancando un riparo i viaggiatori sono stati costretti ad attendere come al solito in locali di fortuna, restando chiusi ancora quelli del terminal fatto costruire dall'Autorità portuale. E ieri sera poco dopo le 21 il natante della società italiana navigazione ha lasciato il porto di Milazzo con a bordo gli eoliani. L'ennesima odissea conclusasi a lieto fine.
La messa in sicurezza di Canneto Contestati gli interventi
(Gazzetta del sud- Salvatore Sarpi) Sulla "messa in sicurezza dell'abitato di Canneto (Lipari)" una lettera di diffida è stata inviata dal cittadino Elio Mollica, quale portavoce di una buona parte della frazione, all'ingegnere capo del Genio Civile opere marittime di Palermo. Rivolgendosi all'ingegnere capo e all'ing. Fabio Arena, conoscitore dei problemi marittimi delle isole Eolie, è stato evidenziato come sia "in atto la predisposizione di un progetto di travasamento di migliaia e migliaia di metri cubi di arenile tra nord e sud del pontile di Canneto, con la giusta intenzione di eliminare l'attuale scivolo naturale che in caso di forti mareggiate porta la sabbia all'interno della strada litoranea. Sistematicamente, da tre anni, con il benestare della Capitaneria di Porto di Lipari, il lavoro che si vuole fare a nord viene effettuato sul lato sud con la conseguenza di porgere la sabbia alle correnti marine che, è risaputo, in quella zona, nove volte su dieci, vanno da nord a sud, rimpinguando la secca dei "Due Frati" fuori dal Monterosa". Mollica diffida l'ingegnere capo del Genio Civile "dall'avallare sperpero di denaro pubblico, facendo eseguire detti lavori, senza prima avere riprogettato la chiusura dei tetrapodi contro il Monterosa, come già previsto e progettato nel 1981, o in alternativa chiudere provvisoriamente a 60 gradi verso terra per evitare l'effetto pennello. Si verrebbe così a rimodellare la spiaggia".
Morte di un operaio nella cava di pomice di Acquacalda. Tre condanne
(Gazzetta del Sud- Salvatore Sarpi) Tre responsabili a vario titolo dell'ex azienda pomicifera Italpomice di Acquacalda sono stati condannati al tribunale di Lipari a conclusione del processo per la morte di Bartolomeo Saltalamacchia, 50 anni, avvenuta il 10 febbraio 2004 mentre l'uomo era al lavoro nella cava.
Il giudice Roberto Gurini ha condannato Angelo Merenda (54 anni, legale rappresentante dell'azienda), Enrico Lo Monaco (40 anni, direttore dei lavori) e Michele Saltalamacchia (58 anni, sorvegliante) rispettivamente a 13, 11 mesi e 9 mesi di reclusione (pena sospesa), al pagamento delle spese processuali e al risarcimento dei danni da liquidarsi in separata sede. I tre stati difesi dagli avvocati Antonio Taviano Giuffrida, Gioacchino Sbacchi, Costantino Lo Monaco e Candido Bonaventura. I familiari del povero Bartolomeo Saltalamacchia (da tutti conosciuto come Lello) si sono costituiti parte civile attraverso gli avvocati Gaetano Orto, Luca Frontino e Walter Militi. L'uomo venne ritrovato morto, soffocato dal materiale pomicifero, dopo essere finito all'interno di un grosso bocchettone, sito in prossimità di un canalone lungo alcune decine di metri (detto canale di spolvero) che trasferiva la pomice(da una altezza di una quarantina di metri) sino al nastro trasportatore.
Dopo il ritrovamento del corpo scattarono le indagini dei carabinieri secondo le quali (così come riportato nel capo d'imputazione) l'uomo, in assenza di condizioni di sicurezza, si era posto all'interno del canale di spolvero, al di sotto della tela del vaglio della pomice, per battere la stessa tela con un martello, onde provocare la caduta della polvere pomicifera bloccatasi tra le maglie della griglia. Mentre eseguiva tale operazione Saltalamacchia perse l'equilibrio scivolando attraverso il canale sino al cosidetto fornello di scarico. Il destino beffardo, tra l'altro, volle che Bartolomeo Saltalamacchia perdesse la vita proprio in quello stabilimento dove, una ventina di anni prima, morì il padre.
Il giudice Roberto Gurini ha condannato Angelo Merenda (54 anni, legale rappresentante dell'azienda), Enrico Lo Monaco (40 anni, direttore dei lavori) e Michele Saltalamacchia (58 anni, sorvegliante) rispettivamente a 13, 11 mesi e 9 mesi di reclusione (pena sospesa), al pagamento delle spese processuali e al risarcimento dei danni da liquidarsi in separata sede. I tre stati difesi dagli avvocati Antonio Taviano Giuffrida, Gioacchino Sbacchi, Costantino Lo Monaco e Candido Bonaventura. I familiari del povero Bartolomeo Saltalamacchia (da tutti conosciuto come Lello) si sono costituiti parte civile attraverso gli avvocati Gaetano Orto, Luca Frontino e Walter Militi. L'uomo venne ritrovato morto, soffocato dal materiale pomicifero, dopo essere finito all'interno di un grosso bocchettone, sito in prossimità di un canalone lungo alcune decine di metri (detto canale di spolvero) che trasferiva la pomice(da una altezza di una quarantina di metri) sino al nastro trasportatore.
Dopo il ritrovamento del corpo scattarono le indagini dei carabinieri secondo le quali (così come riportato nel capo d'imputazione) l'uomo, in assenza di condizioni di sicurezza, si era posto all'interno del canale di spolvero, al di sotto della tela del vaglio della pomice, per battere la stessa tela con un martello, onde provocare la caduta della polvere pomicifera bloccatasi tra le maglie della griglia. Mentre eseguiva tale operazione Saltalamacchia perse l'equilibrio scivolando attraverso il canale sino al cosidetto fornello di scarico. Il destino beffardo, tra l'altro, volle che Bartolomeo Saltalamacchia perdesse la vita proprio in quello stabilimento dove, una ventina di anni prima, morì il padre.